L'indagine che ha portato alle nove ordinanze di custodia cautelare nell'ambito dell'indagine "Crazy Cars" che ha portato a sei arresti è nata da un gesto intimidatorio che non solo ha dirottato l'attenzione degli investigatori della Polizia su una serie di affari illeciti, ma è stato il preludio di minacce ben più pesanti, ed esplicite, subite dalla vittima per convincerla a non insistere con le richieste di denaro per un'auto venduta a un autosalone. Sono emersi così gli affari facili di due giovani imprenditori, ma anche una platea di sodali che si sono prestati, di volta in volta, per fiancheggiarli nelle attività illecite, dell'estorsione alla rapina, passando per la ricettazione delle vetture rubate.
Di fatto l'inchiesta è nata nel maggio del 2019 quando un romeno ha trovato un proiettile calibro 9x21 attaccato alla porta di casa, nella zona di Campo Boario. Non è stato accertato chi avesse portato a termine quell'avvertimento, ma era forte il sospetto che la questione avesse un legame con una truffa subita dallo straniero, fatto per il quale aveva formalizzato la denuncia in Questura cinque mesi prima, all'inizio dell'anno. Nel mezzo, aveva chiesto aiuto alla polizia già nel mese di marzo perché alcuni sconosciuti lo avevano fermato in strada, vicino casa, e gli avevano mostrato una pistola a tamburo dicendogli: «Hai finito di rompere il cazzo con la storia della macchina? Ti basta questa?».
Quell'escalation aveva convinto la vittima a raccontare, agli investigatori, una serie di pressioni e minacce subite nel frattempo, episodi che fino a quel momento aveva sottaciuto per paura. I suoi guai sarebbero iniziati quando si era presentato da Alessandro Agresti per vendere la propria Mercedes Gla: il gestore della Luxury Garage e un venditore che collabora con lui, Giuseppe Cannizzaro, gli avrebbero consegnato quattro assegni da 5.000 euro con scadenze diverse che poi lui aveva rinunciato a incassare dopo che il primo, scoperto, era stato bloccato.
Quando il romeno aveva protestato, Agresti lo aveva dirottato da Cristian Malandruccolo, al quale diceva di avere venduto la sua auto. Stando alla denuncia della vittima, il secondo lo avrebbe prima minacciato, poi lo avrebbe fatto cercare ripetutamente da un suo amico, Mattia Italiani, per convincerlo a restituire gli assegni. Quando poi lo straniero era tornato a chiedere i soldi ad Agresti, quest'ultimo gli aveva ribadito di essere stato solo un intermediario. Nel frattempo però il romeno aveva continuato a subire minacce, fin quando si erano presentati a casa sua tre soggetti, dei quali ha saputo riconoscere solo Salvatore Lupoli: questi, pressandolo, gli chiedevano indietro gli altri assegni e lo costringevano a firmare un foglio nel quale dichiarava di avere ricevuto 17.500 euro, a fronte però di un reale pagamento di soli 5.000 con due bonifici.
Le indagini tecniche hanno permesso di ricostruire le fasi della vicenda con i tabulati telefonici che hanno confermato quanto dichiarato dalla vittima, poi le intercettazioni hanno fatto il resto: non solo è emersa in maniera piuttosto evidente la veridicità dei fatti, ma gli investigatori si sono trovati anche alle prese col traffico di auto rubate che alimentavano gli affari degli autosaloni.