Sono stati condannati a otto e quattro anni di reclusione Antonio «Patatino» Di Silvio, 29 anni e Ferdinando «Prosciutto» Di Silvio 23 anni. E' la sentenza emessa ieri dal giudice per l'udienza preliminare Giuseppe Cario che ha accolto la prospettazione del pubblico ministero Marco Giancristofaro che ha chiesto per i due imputati, accusati a vario titolo di rapina e tentata estorsione, rispettivamente la pena di sette e quattro anni di reclusione.

Il processo si è svolto con il rito abbreviato, un giudizio che prevede la riduzione di un terzo della pena sulla scorta degli elementi raccolti in fase di indagini preliminari. Dopo che l'accusa ha formulato le sue richieste, il collegio difensivo ha risposto e in aula è stato il turno degli avvocati Sandro Marcheselli, Luca Amedeo Melegari, Maurizio Forte e Alessandro Diddi che hanno cercato di scardinare le accuse chiedendo l'assoluzione e in sub ordine il minimo della pena.

Al termine della camera di consiglio, ieri pomeriggio il giudice ha emesso la sentenza e tra novanta giorni si conosceranno le motivazioni della sentenza. Antonio e Ferdinando Di Silvio erano stato stati arrestati dagli agenti della Squadra Mobile a vario titolo con l'accusa di rapina e tentata estorsione, a seguito della denuncia della madre della parte offesa, un ragazzo residente nel capoluogo pontino. L'inchiesta risale a quasi un anno fa: la donna aveva riferito infatti che il figlio ha subito delle minacce a quanto pare per un debito legato alla droga e in una circostanza era stato pesantemente minacciato nel corso di una irruzione a casa. Il primo tassello investigativo aveva portato al fermo di Patatino la notte in cui erano avvenuti i fatti, in un secondo momento gli inquirenti avevano attribuito un ruolo anche al fratello Ferdinando detto Prosciutto.

La vittima - sempre secondo quanto ipotizzato - era stata minacciata con una pistola alla testa e nel corso delle indagini preliminari si era svolto un incidente probatorio richiesto dalla Procura. L'esame aveva permesso di blindare e cristallizzare una prova. Nel capo di imputazione il gip aveva rilevato una serie di elementi su cui si è fondata la ricostruzione del pm: «mediante minaccia e violenza, la parte offesa aveva ricevuto uno schiaffo al collo ed era stata costretta a scappare, e che in un secondo momento era stata colpita con pugni e schiaffi». La reticenza delle vittime - secondo gli investigatori - era sintomatica del potere di intimidazione.
Ieri è stata messa la parola fine con la sentenza del processo per i due fratelli, figli di Romolo Di Silvio, tra i personaggi più influenti del clan, detenuto per la condanna dell'omicidio di Fabio Buonamano, ucciso nel 2010 durante la guerra criminale.