È passata al patrimonio del Comune di Latina la proprietà dell'area con destinazione agricola utilizzata per la realizzazione di cinque ville abusive, la roccaforte delle famiglie Di Stefano e Di Silvio scoperta nei pressi di Borgo San Michele da Questura e Polizia Locale. Scaduto il termine di novanta giorni entro il quale i responsabili della lottizzazione abusiva avrebbero dovuto ripristinare i luoghi, l'ente municipale ha riscontrato che gli immobili sono ancora al loro posto e per questo si è attivata la procedura che ha portato venerdì alla pubblicazione dell'ordinanza con la quale il Servizio Politiche di Gestione e Assetto del Territorio dispone l'acquisizione dell'intera particella catastale su cui insistono i manufatti, nel frattempo sgomberati.

I quattro proprietari del terreno avevano tempo fino a fine giugno per abbattere gli abusi edilizi oppure ricorrere alla giustizia amministrativa. In realtà l'esito dell'iter era scontato, visto che non solo le cinque abitazioni, per un volume complessivo di 2.800 metricubi, sono state realizzate senza uno straccio di licenza edilizia, ma su quell'area di poco più di mezzo ettaro l'edificazione non era permessa neppure con regolare progetto e come se non bastasse la particella era stata frazionata in lotti resi tra loro indipendenti. Fatto sta che ora, confiscato tutto, il Comune dovrà decidere se procedere con l'abbattimento delle strutture irregolari, oppure salvarle dalle ruspe nel caso in cui venga ravvisata la potenziale pubblica utilità degli immobili, passaggio questo che in ogni caso richiede la verifica tecnica delle opere realizzate.

C'è da dire però che in questa vicenda, a differenza di altre circostanze analoghe, le istituzioni sembrano orientate verso l'abbattimento, azione di sicura valenza simbolica. Una vera e propria controffensiva dello Stato alla capacità, dei Di Stefano, di realizzare un complesso edilizio del genere, nel giro di tre anni, senza correre il rischio che qualcuno potesse formalizzare un esposto, anche in forma anonima. È vero che la collocazione della particella catastale era favorevole, ma secondo gli investigatori ha prevalso la paura, alimentata dalla forza intimidatrice espressa da famiglie che rivestono un ruolo di vertice nella criminalità locale.

Dopo tutto a nutrire i primi sospetti su quelle ville erano stati i poliziotti della Divisione Anticrimine, supportati dal Nucleo di Polizia giudiziaria della Locale specializzato in materia edilizia, monitorando i Di Stefano, catanesi che hanno legato il loro nome a quello dei Di Silvio attraverso due matrimoni eccellenti. Tra i proprietari del fondo lottizzato, indagati per abusivismo, figurano infatti Alessandro Di Stefano di 30 anni e sua moglie Annamaria Di Silvio di 33 (sorella di Costantino Patatone), quindi la loro cognata Sabrina Boffi di 35 anni, compagna di Franco Di Stefano, e una quarta persona estranea alle due famiglie, Stefania F. di 42 anni che in virtù di un legame di amicizia con i primi aveva avuto l'opportunità di utilizzare un pezzo di quel lotto per edificare la propria casa. Al vaglio degli inquirenti è finita anche la posizione del padre dei Di Stefano, catanese di 52 anni, che non figura tra i proprietari delle particelle, ma è committente di una delle cinque abitazioni e come lui anche il figlio più piccolo Fabio, 32 anni, marito di Angelina Di Silvio (figlia di Giuseppe detto Romolo).