Si chiude con la rinuncia del ricorso al Tribunale del Riesame la fase iniziale dell'inchiesta della Dda sullo scambio elettorale mafioso che aveva portato nei giorni scorsi a due arresti. Emanuele Forzan, coordinatore della Lega a Sezze e finito agli arresti domiciliari, ha scelto di rinunciare.

Difeso dagli avvocati Pietro Parente e Kristalia Papaevangeliu, ha scelto questa strada giudiziaria alla luce della visione degli atti relativi agli interrogatori di garanzia sostenuti davanti al giudice per le indagini preliminari Bernardette Nicotra che ha emesso la misura restrittiva. Forzan nel corso dell'audizione davanti al magistrato, aveva negato le accuse cercando di chiarire la sua posizione in merito ai fatti contestati avvenuti nel 2016 e ricostruiti dalle deposizioni del collaboratore di giustizia Agostino Riccardo, anche lui destinatario del provvedimento. Aveva parlato per oltre 4 ore rispondendo alle contestazioni. Anche Del Prete di cui era collaboratore all'epoca dei fatti, aveva cercato di azzerare le accuse sostenendo di non conoscere Armando Lallà Di Silvio, condannato a 24 anni di reclusione nel processo Alba pontina e aveva ammesso di conoscere Riccardo e in particolare il padre e che si era limitato a chiedere l'affissione dei manifesti elettorali per farlo lavorare.

La rinuncia di Forzan arriva a poche ore di distanza dalla decisione dei magistrati del Riesame che avevano confermato in blocco l'impianto accusatorio per la posizione dell'imprenditore dei rifiuti.

Le dichiarazioni di Riccardo sono ritenute attendibili dai magistrati. Forzan è stato coinvolto nell'inchiesta perchè all'epoca dei fatti era collaboratore di Del Prete.

Nelle 65 pagine dell'ordinanza, il giudice ha sostenuto che lo scambio elettorale di natura politico mafiosa, era funzionale alle strategie di Del Prete che puntava a ottenere il monopolio degli appalti nel territorio pontino e l'elezione di Adinolfi sarebbe stata funzionale alle strategie economiche della sua società, per ottenere verosimilmente il monopolio nella gestione dei rifiuti e delle bonifiche. Sempre in base a quanto ricostruito e sulla scorta delle testimonianze dei pentiti, oltre a Riccardo ci sono anche le rivelazioni del collaboratore Renato Pugliese, ogni voto sarebbe stato pagato dai 100 ai 150 euro per un totale di 200 voti per la somma di 45mila euro che sarebbe stata versata in diverse tranche.

Nelle intercettazioni è emerso che la compravendita elettorale e la relativa affissione e visualizzazione di manifesti era stata gestita da Del Prete tramite l'affiliato al clan di Campo Boario e all'epoca dei fatti, il collaboratore dell'imprenditore era diffidente sul sostegno da parte di Riccardo. L'inchiesta di Squadra Mobile e Carabinieri, affonda le radici in una altra operazione dove era stato contestato il reato di corruzione: è l'inchiesta Touchdown dove Del Prete ha patteggiato la pena. L'inchiesta è stata condotta dai pubblici ministeri Luigia Spinelli, Claudio De Lazzaro e Corrado Fasanelli.