Era stato licenziato perchè secondo quanto è emerso da alcune indagini interne condotte dalla banca, aveva falsificato la firma di un cliente e aveva prelevato delle somme di denaro. Lui aveva sostenuto che era stato un momento di profonda fragilità ma il conto era stato salato: aveva perso il posto di lavoro come dipendente di un istituto di credito che aveva una filiale a Latina.

I fatti oggetto dell'impugnazione dell'ex dipendente di banca, sono finiti prima davanti al giudice della sezione lavoro del Tribunale di Latina di via Fabio Filzi, a seguire in Corte d'Appello e ora in Cassazione. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato dall'uomo. Erano stati i magistrati di secondo grado a respingere il 31 gennaio del 2019 il reclamo dell'impiegato, un uomo residente in provincia di Latina, che aveva confessato i fatti, sostenendo che si era trattato di un momento di debolezza.
Secondo i giudici invece l'uomo ha agito in consapevolezza e con lucidità sapendo che il cliente non si era accorto di quello che stava facendo. I fatti contestati che sono finiti in Tribunale risalgono a oltre otto anni fa e così dopo che i magistrati si sono pronunciati sulla bocciatura del ricorso, hanno anche depositato le motivazioni.

Alla fine i giudici, presidente Umberto Berrino, relatore Rosa Arienzo, hanno sottolineato che: «il recesso era dovuto ad una serie di operazioni di prelevamento di contanti, poste in essere dall'uomo e contabilizzate, falsificando la firma di un cliente». Nelle motivazioni i giudici hanno anche richiamato l'orientamento della Corte d'Appello che aveva messo in evidenza le contestazioni relative alla condotta dell'impiegato in due lettere dove vi era una ricostruzione minuziosa e particolareggiata degli addebiti. «Tali da non lasciare alcuna possibilità all'uomo di avere piena contezza delle motivazioni poste alla base del suo licenziamento».

In base a quanto è emerso nell'istituto di credito, una volta che c'erano stati i primi sospetti erano iniziati degli accertamenti per acquisire elementi necessari per verificare la possibilità di contestare un illecito disciplinare e identificare il responsabile, dopo che dal conto del cliente erano sparite delle somme di denaro. I magistrati avevano sottolineato in un altro passaggio delle motivazioni, anche che: «avendo riguardo al solo episodio in relazione al quale vi era stata ammissione del lavoratore, doveva ritenersi integrato il comportamento idoneo a ledere il vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro e a giustificare l'irrogazione della sanzione, senza considerare gli ulteriori comportamenti, posti in essere nei confronti sempre dello stesso correntista, che erano stati contestati in questo caso con un addebito».

In occasione dell'udienza sia la Banca che l'ex dipendente avevano presentato delle memorie e al termine della camera di consiglio i giudici hanno respinto il ricorso dell'uomo e la sentenza ora è definitiva.