La società di facchinaggio «L.G. scrl» poteva condizionare le attività all'interno del Mof. Lo stabilisce la sentenza del Consiglio di Stato appena pubblicata che respinge l'appello dell'avvocato Letizia Bortone, sancendo sia la necessità di tutelare la libera concorrenza nella struttura, sia la legittimità dell'interdittiva antimafia assunta dalla Prefettura di Latina a gennaio 2020 e subito impugnata da Lg con il presupposto, tra gli altri, che il protocollo Mof-Prefettura contenesse dei falsi.
Il protocollo, come si sa, fu siglato a giugno 2017 e rinnovato a giugno 2019. La «L.G.» aveva presentato domanda per svolgere attività di facchinaggio dentro al Mof nel gennaio del 2019 e al tempo stesso aveva chiesto le schede identificative alla società Mof, che dieci giorni più tardi aveva inviato alla banca dati nazionale la richiesta di informazione antimafia, rilasciando un'autorizzazione temporanea. A gennaio 2020 interviene la Prefettura di Latina con una interdittiva antimafia a carico della «L.G» e nel frattempo il Mof aveva aperto le domande per il servizio di facchinaggio del 2020 cui la medesima L.G. non ha partecipato, quindi il suo ruolo dentro la struttura era terminato da contratto. Il fatto è che in quello stesso periodo erano in corso indagini della Dda sulla famiglia di Giuseppe D'Alterio cui L.G. si ritiene legata; inchiesta culminata con arresti a marzo 2020. Ad ogni modo inizia in quel momento una battaglia giudiziaria della società sia contro l'interdittiva che contro il protocollo sulla legalità, culminata con la sentenza pubblicata il 25 ottobre. Per comprendere la portata di questa battaglia che, in realtà, riguarda un principio più che una sola società, è necessario analizzare il momento storico in cui la Prefettura firma l'interdittiva. Siamo alla vigilia dell'ennesima operazione della Dda di Roma sulla famiglia D'Alterio, capeggiata da Giuseppe, detto o'marocchino e considerato un esponente di assoluto rilievo della criminalità organizzata operante in provincia di Latina, rispettato nell'ambiente anche da altri sodalizi. L'interdittiva fonda su quelle attività di indagine da cui era emerso «il potere intimidatorio di tipo mafioso esercitato dalla famiglia D'Alterio sull'indotto del Mof di Fondi per monopolizzare l'attività di trasporto da e verso tale mercato».
L'anello di congiunzione tra il contratto di facchinaggio e i D'Alterio viene individuato in Crescenzo Pinto, tramite il ruolo in «Carol Mediazioni» e per il rapporto di convivenza con Melissa D'Alterio. Quote della «Carol» erano state comunque cedute da Crescenzo Pinto a Luigi Pinto ma questo viene ritenuto nella sentenza un «espediente per artatamente dimostrare il venir meno dei collegamenti tra la società e i D'Alterio». Le stesse quote sono poi passate ancora di mano ma pure questo fu considerato un escamotage. La L.G. in quel contesto risulta gestita «da soggetti in maggioranza presenti nella compagine societaria già esposta a rischio di influenza della criminalità organizzata di stampo mafioso, legati da stretti vincoli parentali a un soggetto già attinto da provvedimento antimafia. Nel giudizio si era costituito anche il Mof tramite l'avvocato Antonio D'Alessio che aveva difeso la legittimità dell'interdittiva. Ai fini della decisione è risultata determinante la memoria depositata dall'Avvocatura di Stato per conto del Ministero dell'Interno e della Prefettura di Latina contente «ampie ricostruzioni circa le infiltrazioni mafiose in atto». La società, che aveva proposto appello avverso una conforme sentenza del Tar di Latina, è stata condannata a pagare le spese, pari a 12mila euro, che andranno divise per metà tra Ministero e Mof, cui è stata riconosciuta altresì la legittimazione a stare nel giudizio.