Giuseppe Romolo Di Silvio Riteneva i figli inadatti a raccogliere la sua eredità, inaffidabili per i loro modi irruenti, tanto da essere arrivato al punto di delegare la gestione del gruppo criminale di riferimento della sua famiglia al genero Fabio Di Stefano. Fatto sta che il capo famiglia, detenuto per l'omicidio di Fabio Buonamano, paga a sue spese l'imprinting che lui stesso, non volendo, ha trasmesso ai propri eredi: la ferocia che ha contraddistinto la sua azione criminale, inevitabilmente, è diventata un segno distintivo dell'intero sodalizio. Così non c'è da stupirsi se attività illecite di per sé redditizie, come lo spaccio di droga, finivano per degenerare in estorsioni.

A rivelare la natura dell'associazione per delinquere di stampo mafiosa ispirata dalle gesta di Romolo Di Silvio, comunque già tratteggiata nelle inchieste sull'escalation di vendette sanguinarie del 2010, erano stati anche i primi collaboratori di giustizia Renato Pugliese e Agostino Riccardo. Dopo tutto se quest'ultimo ha dichiarato che gli si gelava il sangue solo a sentire il nome di Romolo specificando che «è una persona spietata in quanto molto incline alla violenza, torturava le persone per debiti di droga e per estorsioni», Renato Pugliese si era ritrovato a subire direttamente gli effetti del potere di Romolo Di Silvio, arrivando al punto di lasciare che un suo giovane spacciatore di riferimento, il migliore sulla piazza, finisse sotto il controllo della famiglia di Gionchetto che aveva bisogno di rilanciare i propri affari in quel periodo, praticamente senza potersi ribellare sebbene lui stesso all'epoca facesse parte di un altro gruppo criminale concorrente.

Di recente, annotano gli inquirenti, gli altri due pentiti Emilio Pietrobono e Maurizio Zuppardo hanno rivelato che «in molti casi la cessione di sostanza stupefacenti è studiata proprio per porre il consumatore in uno stato di soggezione per poi pretendere il pagamento di interessi usurari» scrive il giudice nell'ordinanza di custodia cautelare che martedì ha portato all'arresto di 33 dei 50 indagati dell'inchiesta.
Emblematico quello che è successo appunto a un consumatore di cocaina che acquistava dosi per uso personale direttamente in via Moncenisio rivolgendosi a Ferdinando Di Silvio detto Prosciutto figlio di Romolo. Fin quando una sera, in presenza del fratello Antonio detto Patatino, Ferdinando costrinse il cliente, sotto minaccia, a prendere una quantità maggiore di droga che avrebbe anche pagato un costo maggiore non potendo onorare il pagamento subito: 900 euro per 7 grammi. Tornato a casa, l'uomo pesò la coca e si accorse che era meno e oltretutto era di scarsa qualità.
La vicenda è stata ricostruita attraverso le intercettazioni telefoniche e ambientali.