Il controllo esercitato da Giuseppe Romolo Di Silvio dal carcere di Rebibbia, serviva soprattutto per scongiurare la deriva del gruppo criminale composto dalla sua numerosa famiglia. Ma non è bastato, visto che gli investigatori intercettavano tutti da tempo, sia ascoltando le loro conversazioni telefoniche, ma anche e soprattutto spiando ciò che dicevano all'interno delle automobili e i colloqui dietro le sbarre. Così non è bastato che il capo famiglia imponesse al figlio di lasciare in pace la vittima di un'estorsione, per metterlo al riparo da un'accusa che è piombata lo stesso su di lui con gli arresti, martedì mattina, dell'inchiesta Scarface condotta dalla Squadra Mobile di Latina, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia, per fermare la fazione più agguerrita del clan, quella dislocata tra Gionchetto e la zona di viale Kennedy.

L'estorsione in questione era stata approcciata da Ferdinando Di Silvio detto Prosciutto ai danni di un abile elettrauto con trascorsi nel riciclaggio delle vetture rubate. A quanto pare il giovane erede di Romolo Di Silvio avrebbe iniziato a vessarlo dopo che la vittima, nel gennaio del 2019, si era rifiutata di aiutarlo a rimediare una vettura rubata per poi "ripulirla" con i dati di immatricolazione della propria, danneggiata gravemente in seguito a un incidente stradale. La vicenda sembrava essere finita là, ma a quanto pare Prosciutto non aveva gradito quel rifiuto visto che tre mesi dopo era tornato a cercarlo per una richiesta alquanto sospetta.
In sostanza Ferdinando Di Silvio pretendeva che l'elettrauto gli vedesse la sua automobile, un suv, accettando un pagamento dilazionato nel tempo, un po' per volta. E il malcapitato, conoscendo lo spessore criminale della famiglia Di Silvio, non aveva accettato, temendo piuttosto concreto il rischio che non avrebbe visto un euro dei 12.000 promessi dall'aspirante acquirente. Neanche a dirlo, quel "no" aveva innescato la reazione feroce del giovane Di Silvio.

Ferdinando Prosciutto era intenzionato ad andare avanti con l'estorsione e aveva preteso di incontrare la vittima, che non si era presentata. Ne era seguita una telefonata in cui il figlio di Romolo aveva minacciato pesantemente l'elettrauto dopo che questi aveva paventato la possibilità di denunciarlo. Il tono della conversazione era stato esplicito: «...se tu fai una denuncia... compà... sei finito poi!... Sei un uomo morto! Poi non puoi girare più!». E alludendo al fatto che un suo eventuale arresto non avrebbe fermato la vendetta, Prosciutto aveva aggiunto: «...Sappi che la tua famiglia è finita poi!».
La vittima si era poi rivolta a un suo amico, un personaggio influente della criminalità locale, che aveva incontrato Fabio Di Stefano detto il siciliano, cognato di Ferdinando Di Silvio, per mediare affinché la vicenda si risolvesse per il meglio. Al centro della mediazione, la circostanza che l'elettrauto aveva registrato la telefonata, quindi un'eventuale denuncia avrebbe avuto un esito scontato.
Ovviamente Di Stefano aveva bloccato l'azione estorsiva del cognato, poi aveva informato il suocero Romolo durante un colloquio in carcere. E a quel punto il capo famiglia era stato categorico: «Digli a Ciccio che gli ordino di lasciarlo perdere subito a quello!... È un'estorsione... è estorsione...» ovviamente temendo il rischio che il figlio potesse essere arrestato.