Sembra quasi di vedere la scena e sentire tutto. I colpi di pistola esplosi in sottofondo, le spranghe impugnate da un drappello di uomini che avanzano, il rumore dei finestrini infranti, le bottiglie vuote che rotolano, la violenza che esplode. Anche sul furgone parcheggiato poco prima dell'ingresso del casolare. E' il film dell'omicidio. Una, due, tre botte forti sui vetri che vanno in frantumi. E' solo l'inizio. Non si capisce più niente in via Monfalcone. La gente scappa, qualcuno prova ad arginare il gruppo di persone che vuole imporsi con la forza e che uccide un giovane uomo di 29 anni. Nell'ordinanza di custodia cautelare, il giudice Giuseppe Cario ricostruisce nel dettaglio le condotte degli indagati e il clima della folle notte del 30 ottobre, a partire oltre che dal ruolo di Jwan Singh, capo carismatico del gruppo e secondo gli inquirenti il regista della spedizione punitiva, anche degli altri indagati che ieri sono stati arrestati. Alcuni testimoni hanno riferito di aver riconosciuto i complici, tra cui un connazionale che con un casco semi integrale partecipava materialmente alla mattanza. Un altro testimone conferma il racconto emerso in un primo momento. «Sono arrivati e hanno iniziato a colpire con violenza inaudita, anche a me alle ginocchia e mi hanno fatto male».

La personalità e il ruolo di Jwan, conosciuto e temuto nella comunità indiana quale persona dedita alle spedizioni punitive, emerge più di tutti nel provvedimento. Oltre a dare ordini ai suoi uomini che chiedevano «Chi dobbiamo ammazzare ora?». Spunta un nuovo elemento: la banda cercava un'altra persona - come riferito da alcuni testimoni - voleva aggredire un altro indiano. «Non ci sta qua dentro», è una delle frasi finite nella deposizione di un testimone. Il movente dell'omicidio sembra chiaro: la scelta della vittima Sumal Jagsheer di staccarsi dal gruppo facente capo a Jwan. Questo avrebbe innescato la miccia e la spedizione punitiva orchestrata da Jwan, sempre in prima fila.

La posizione degli indagati arrestati dalla polizia è stata analizzata dal pubblico ministero Marco Giancristofaro nella richiesta cautelare inviata al gip. Si sono presentati con le spranghe di ferro in mano e hanno partecipato all'aggressione.
«Vi è il pericolo di reiterazione del reato da parte degli indagati - ha osservato il giudice Giuseppe Cario - e si desume dalla personalità: hanno tutti precedenti per i reati di lesioni personali e rapina». Alla luce delle risultanze investigative, il giudice ha disposto il carcere per la violazione di domicilio aggravata e lesioni personali aggravate. E' un altro tassello investigativo per quella violenta notte finita nel sangue.