Condanna confermata dai giudici della Corte di Cassazione per il rapinatore seriale di Rolex che aveva colpito a ripetizione a Latina. Sul banco degli imputati Reina Gonzales 43 anni, di origine colombiana ma residente a Latina. La Suprema Corte ha condannato l'uomo alla pena di sette anni e quattro mesi di reclusione, come avevano deciso i giudici della Corte d'Appello. Nel corso delle indagini di Polizia e Carabinieri è emerso che l'imputato pedinava le vittime e poi entrava in azione facendosi consegnare, sotto la minaccia di un'arma, orologi di valore.
Le indagini del pubblico ministero Giuseppe Bontempo, hanno permesso di ricostruire una serie di episodi molto allarmanti registrati a Latina tra il 2017 e il 2018. Era stato il giudice per le indagini preliminari Giuseppe Cario ad emettere una ordinanza di custodia cautelare e le accuse avevano pienamente retto. «Le modalità seriali delle rapine denotano pervicacia solo se si prenda in considerazione la febbrile attività di pedinamento portata a termine dall'indagato», era la conclusione a cui erano arrivati gli investigatori. Nelle pieghe dell'inchiesta si era rivelato determinante l'intuito di un poliziotto. L'imputato aveva colpito sia nel centro della città (da Piazza Dante a via Duca del Mare), ad altri punti del capoluogo. In alcuni casi i pedinamenti sono durati dieci giorni. «Dammi tutto quello che hai, tanto ti conosco, so dove abiti» è una delle frasi pronunciate all'indirizzo di un professionista. Mentre in una altra circostanza aveva detto: «Non parlare che ti ammazzo, so chi sei, dove abiti, conosco tuo marito e le tue figlie».
Nelle motivazioni con cui viene confermata la condanna i giudici hanno scritto che le videoregistrazioni hanno permesso di accertare la presenza dell'uomo in circostanze di tempo e di luogo compatibili con le rapine a quattro professionisti residenti nel capoluogo pontino.
«E dagli esiti delle intercettazioni telefoniche evidenziano ad esempio la disponibilità del bottino di una rapina. Anche se manca una prova diretta - hanno scritto i giudici della Cassazione - gli elementi indicati assumono una complessa univocità da escludere alcuna ricostruzione alternativa lecita». Alla fine i giudici hanno rigettato il ricorso presentato dalla difesa dell'imputato, confermando l'impianto accusatorio sia di primo grado del giudice Pieraolo Bortone nel maggio del 2019 che della Corte d'Appello. La condanna adesso è diventata definitiva