In oltre 30mila pagine gli inquirenti della Dda hanno ricostruito scenario storico e contesto criminale dell'omicidio di Massimiliano Moro, ucciso la sera del 25 gennaio del 2010 nel suo appartamento di Largo Cesti a Latina. Ieri mattina il giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Roma Massimo Marasca ha rinviato a giudizio Simone Grenga, Ferdinando Ciarelli detto Macù e Antongiorgio Ciarelli. E' stata stralciata invece la posizione di Ferdinando Pupetto Di Silvio per un impedimento del suo difensore e la sua posizione sarà discussa il 21 febbraio.

Anche se non si conosce la data, il giudice al termine della camera di consiglio ha disposto il rinvio a giudizio davanti alla Corte d'Assise di Latina. Nessun giudizio alternativo dunque ma le difese degli imputati hanno scelto il rito ordinario. L'accusa contestata è quella di omicidio volontario con l'aggravante delle modalità mafiose. In aula il gup ha accolto la prospettazione della pubblica accusa mentre la difesa, rappresentata dagli avvocati Marco Nardecchia e Leonardo Cascere, ha chiesto invece il non luogo a procedere sostenendo che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Renato Pugliese, Agostino Riccardo e Andrea Pradissitto (imputato nel processo per l'omicidio e la cui posizione è stata stralciata), sono contrastanti.

L'impianto accusatorio si basta oltre che sulle rivelazioni dei pentiti anche su una serie di altri riscontri, tra cui l'individuazione delle persone presenti sulla scena del crimine in base agli agganci delle celle telefoniche. E' stato un lavoro molto meticoloso quello degli agenti della Squadra Mobile di Latina, coordinati dai magistrati della Dda. L'inchiesta sull'omicidio Moro era stata in un primo momento archiviata nel 2015 dopo che il magistrato inquirente Marco Giancristofaro non aveva ravvisato i margini per andare a processo nei confronti degli indagati. A rianimare l'indagine erano state le rivelazioni dei collaboratori che avevano riscritto il clima in cui era maturato l'omicidio. Era stata una risposta immediata all'agguato scattato qualche ora prima, la mattina del 25 gennaio, al ferimento in via del Pantanaccio di Carmine Ciarelli.

«Mediante la pianificazione e la predisposizione di uomini e mezzi e numerosi armi cagionavano il decesso di Moro - è la ricostruzione dei pm - attinto da due colpi di pistola: uno alla nuca e l'altro al collo». Gli investigatori della Squadra Mobile hanno anche stabilito i ruoli: «Grenga quale esecutore materiale alla presenza di Ferdinando detto Macù, gli altri con il compito di fornire supporto logistico», avevano sostenuto i magistrati Luigia Spinelli e Corrado Fasanelli nella richiesta di rinvio a giudizio.

Tra le fonti di prova acquisite dagli inquirenti, le relazioni tecniche eseguite dalla Polizia Scientifica, compatibili con le conclusioni arrivate dall'autopsia, l'analisi dei tabulati telefonici e l'ultimo tassello sono state le dichiarazioni di Pradissitto. La Dda ha contestato anche l'aggravante della premeditazione. «Hanno commesso il fatto per agevolare l'associazione per delinquere nata dall'alleanza tra le famiglie rom Ciarelli- Di Silvio come azione ritorsiva per l'agguato subito da Carmine Ciarelli imponendosi per il controllo dei traffici illeciti sul territorio di Latina come forza predominante». Nel fascicolo dell'inchiesta sono finiti gli ultimi dieci anni di storia criminale pontina e i pm hanno depositato una serie di sentenze: dal processo Caronte con condanne diventate definitive dove veniva contestato il vincolo associativo, fino al processo Alba pontina, anche questo concluso per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato con sentenze della Cassazione e dove viene contestata l'aggravante mafiosa.

Una prima misura restrittiva era stata emessa quasi un anno fa dal gip di Roma sulla scorta delle rivelazioni di Pugliese e Riccardo e in un secondo momento l'inchiesta era stata supportata anche dalle dichiarazioni di Pradissitto, coinvolto dai primi arresti che ha fornito l'ultima ricostruzione dei fatti.