Era legittimo l'arresto di Ferdinando Ciarelli detto Furt nell'ambito della nuova inchiesta sull'omicidio di Massimiliano Moro, riaperta in seguito alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Renato Pugliese e Agostino Riccardo. Ma la sentenza - depositata solo nei giorni scorsi - con cui la Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla difesa dell'indagato di 58 anni, ha tanto il sapore della beffa per il ricorrente visto che il quadro indiziario che sostiene quell'ordinanza di custodia cautelare è stato superato da un supplemento investigativo che non prevede una misura restrittiva per l'indagato che all'epoca dei fatti era reggente della famiglia radicata nel quartiere Pantanaccio. Perché le dichiarazioni rese dal genero Andrea Pradissitto che nel frattempo si è pentito, ritenute attendibili dai magistrati della Dda, sembrano scagionarlo dalla responsabilità di quel delitto, pur delineando la pianificazione delle vendette successive in quella che fu una stagione di sangue nei primi mesi del 2010.
I primi arresti per l'omicidio di Massimiliano Moro risalgono al 9 febbraio dello scorso anno, nell'ambito dell'indagine avviata dopo le dichiarazioni rese appunto dai primi due collaboratori di giustizia che, sebbene non si trovassero a Latina all'epoca dei fatti, per sentito dire da altri soggetti vicini allo stesso ambiente criminale, delineavano un ruolo di responsabilità indiretta, ovvero come mandante, appunto per Ferdinando "Furt" Ciarelli, fratello di Carmine che la mattina di quel 25 gennaio di dodici anni fa era stato ferito a colpi d'arma da fuoco. Un arresto, quello di un anno fa, che poi il Tribunale del Riesame ha confermato il 10 marzo scorso. Una pronuncia, quest'ultima, che ha confermato appunto anche la Cassazione con sentenza del giugno dello scorso anno. Perché le dichiarazioni dei pentiti erano considerate attendibili.
Peccato che nel frattempo Andrea Pradissitto, genero di Ferdinando Furt, arrestato come il suocero per l'omicidio Moro perché considerato uno dei componenti del commando di killer entrati in azione quella sera a largo Cesti in Q5 insieme a Simone Grenga, Ferdinando Ciarelli detto Macù e Antongiorgio Ciarelli, a sua volta abbia deciso di collaborare con la giustizia confermando una parte delle accuse, aggiungendo che era presente anche Ferdinando Pupetto Di Silvio la sera dell'agguato, ma tirando fuori appunto Furt sostenendo che i giovani delle due famiglie criminali avevano deciso autonomamente di vendicare il tentato omicidio di Carmine Ciarelli di quella mattina, tenendo all'oscuro appunto il reggente che invece predicava la calma in attesa di capire chi fosse il responsabile degli spari in via Pantanaccio. Così il 9 luglio scorso erano scattati gli arresti di una nuova ordinanza di custodia cautelare che risparmia il 58enne Ferdinando Ciarelli, ma per una beffa procedurale il primo arresto, benché superato, era comunque valido. Una circostanza che rivela quando siano necessari i riscontri per validare le dichiarazioni dei collaboranti.