Per questioni di sicurezza la Questura ha vietato la celebrazione del funerale di Samuele Di Silvio, morto in circostanze poco chiare martedì in una cella del carcere di Agrigento dove stava scontando, in regime di alta sicurezza, la condanna definitiva a undici anni di reclusione per estorsioni e traffico di droga con l'aggravante del metodo mafioso. Una restrizione finora imposta a poche persone nel capoluogo, che ha impedito al padre Armando detto Lallà e ai fratelli Giuseppe Pasquale, Ferdinando Pupetto e Gianluca, reclusi anche loro, di raggiungere il capoluogo pontino per le esequie con la scorta della Polizia penitenziaria.
La decisione è stata presa dall'autorità di pubblica sicurezza al termine di un'attenta valutazione del caso. Non è la prima volta che la Questura impone dei limiti in questo senso, soprattutto agli appartenenti dei clan di origine rom, ma non era mai capitato finora nel capoluogo pontino che all'attenzione delle autorità finisse un personaggio condannato per reati di mafia, legato a organizzazioni criminali autoctone. Finora le prescrizioni sono sempre state imposte per evitare forme di spettacolarizzazione delle funzioni religiose, ad esempio attraverso cortei funebri che rischierebbero di passare per dimostrazioni di forza.