Una fattispecie di reato venuta su dalla Sicilia, passando per la Calabria e la Campania, si è fatta largo per la prima volta anche qui da noi in provincia di Latina, riassunta nell'articolo 416 ter del Codice penale, voto di scambio ottenuto con modalità mafiosa. Una contestazione pesante con cui dovranno vedersela l'imprenditore Raffaele Del Prete e il suo collaboratore Emanuele Forzan, accusati di avere accettato la promessa avanzata da Agostino Riccardo, appartenente al clan mafioso dei Di Silvio, di procurare almeno duecento voti tra gli elettori residenti nei quartieri pontini controllati dai Di Silvio, voti che dovevano essere indirizzati alla lista «Noi con Salvini» e al capolista Matteo Adinolfi nella tornata elettorale del 5 giugno 2016 per le amministrative per il rinnovo del Consiglio comunale di Latina.
I due, Del Prete e Forzan, su richiesta dei pubblici ministeri Fasanelli, Spinelli e De Lazzaro, saranno processati con il giudizio immediato a cominciare dal 16 marzo, data fissata per la prima udienza in Piazza Buozz1. Il procedimento nasce da un rocambolesco matrimonio tra due indagini, quella denominata Touchdown condotta dai carabinieri che avevano smascherato una serie di collusioni all'interno del Comune di Cisterna, collusioni che avevano visto coinvolto anche Raffaele Del Prete per avere elargito una mazzetta ad un consigliere comunale, reato per il quale avrebbe poi patteggiato la pena di 3 anni e due mesi, e una successiva indagine condotta tra il 2017 e il 2020 dalla polizia e innestata su una serie di rivelazioni fornite dai due collaboratori di giustizia Renato Pugliese e Agostino Riccardo.
Nella prima indagine, quella sui fatti di Cisterna, una serie di circostanze ritenute irrilevanti, non ultima la presenza di Agostino Riccardo nell'ufficio di Raffaele Del Prete e gli scambi verbali tra i due, non avevano dato luogo ad alcuno strascico investigativo, né all'iscrizione sul registro degli indagati del nominativo di quello che un paio di anni più tardi sarebbe diventato un pentito al servizio della giustizia.
E quando nel 2018 Agostino Riccardo comincerà a riferire dei suoi trascorsi personali e di quelli al servizio della famiglia Di Silvio, non trascurerà di rispondere alle domande sulla sua attività di attacchinaggio durante le campagne elettorali, finendo per coinvolgere candidati e partiti politici che in momenti diversi avevano usufruito dei suoi servizi, anche nella veste di procacciatore di voti, stando a quello che riferisce. Ma è soltanto nel 2020, due anni dopo l'avvio del programma di collaborazione intrapreso da Agostino Riccardo, che i magistrati che lo stanno gestendo per conto della Direzione distrettuale Antimafia intravedono la coincidenza, fiutano l'occasione e pensano bene di andare a ripescare le intercettazioni raccolte dai carabinieri in Touchdown e vestirle di rinnovato interesse alla luce della comparazione con le dichiarazioni che andavano raccogliendo dai due pentiti pontini. In fondo, quello che si cerca di mettere a fuoco, sono le relazioni tra il mondo della criminalità locale e la politica. Ma detta così, sarebbe materia della Procura ordinaria. Soltanto quando la criminalità di cui ci si occupa assume la veste di criminalità organizzata e quando i suoi metodi di azione ricalcano quelli di un'organizzazione mafiosa, allora le fattispecie assumono rilevanza per la competenza dell'Antimafia.
E quando Armando Lallà Di Silvio, i suoi figli e il loro entourage acquisiscono la patente di clan, allora il gioco si fa duro, e anche lo scambio di prestazioni in campagna elettorale può sfociare in un 416 ter: scambio elettorale politico mafioso. Una grana enorme per Emanuele Forzan e per Raffaele Del Prete. Quest'ultimo riferirà ai magistrati di aver sempre conosciuto i genitori di Agostino Riccardo, perché erano i titolari di un negozio di generi alimentari proprio nel condominio dove i Del Prete hanno tuttora una casa per le vacanze al Lido di Latina. E sarebbe stato il padre di Agostino a spendersi con l'imprenditore affinché desse un'opportunità di lavoro al figlio che a forza di arrangiarsi aveva preso una brutta piega. E' da quel momento che il giovane Agostino Riccardo comincia a pressare l'imprenditore, anche per ottenere un'assunzione che gli avrebbe permesso di accedere alla concessione di un affidamento in prova anziché costringerlo al carcere nel caso in cui una sentenza che stava per arrivare lo avesse colto in fallo con una condanna.
Ma si era in fase piena di votazioni e non c'era tempo per pensare a troppe cose. Il munifico Del Prete aveva bisogno di costruire attorno a sé e alla propria azienda un muro di protezione e di attenzione attraverso la politica, e in quei giorni l'attacchino e procacciatore di voti Agostino Riccardo doveva fare la sua parte. Come risulta dalle intercettazioni del 2016, nell'ufficio di Del Prete Agostino Riccardo parla anche di voti, tra le quaranta e le cinquanta preferenze sicure in viale Kennedy; e in una circostanza dice anche di aver parlato con tale Armando a Campo Boario. Chi è Armando? Potrebbe essere chiunque, ma per ogni investigatore che si rispetti un Armando di Campo Boario non può essere che lui, Armando Lallà Di Silvio.
Così almeno la vedono i magistrati. Gli stessi ai quali sembra sfuggire (?) che quei fatti si svolgono alla fine di maggio 2016, alla vigilia del voto del 5 giugno, e stando agli atti delle diverse indagini che riguardano la famiglia Di Silvio, il collegamento indiscutibile tra il clan rom e Agostino Riccardo risale al mese di giugno 2016, verosimilmente all'indomani della competizione elettorale e in un periodo in cui la qualificazione di clan mafioso attribuita ai Di Silvio era ancora lungi dall'arrivare con la sentenza del processo Alba Pontina pronunciata il 20 luglio 2019 dal Gup Marzano all'esito di un giudizio abbreviato. Ma tant'è, una volta acquisita, la patente di clan mafioso sembra destinata a valere per sempre, anche a ritroso, almeno stando all'equazione secondo la quale avendo corrisposto la somma di 45mila euro ad Agostino Riccardo per le sue prestazioni di attacchino e procacciatore di voti, l'imprenditore Raffaele Del Prete avrebbe automaticamente girato quel denaro alla mafia di Campo Boario, come abbiamo imparato a definirla.
Ma stando al capo di imputazione dal quale dovranno difendersi a partire da dopodomani i due imputati, la fattispecie di reato contemplata dall'articolo 416 ter non si forma con la dazione di denaro da Del Prete a Riccardo, ma nella eventuale accettazione della promessa avanzata dallo stesso Riccardo di procurare mediante le modalità mafíose esercitate nei confronti di elettori residenti in quartieri sottoposti al controllo del clan Di Silvio, almeno duecento voti per la lista «Noi con Salvini» e per il capolista Matteo Adinolfi.
Così, benché non vi siano state denunce su presunte vessazioni da parte di Agostino Riccardo nei confronti di alcuno per ottenere voti, sarà un lavoraccio per i difensori dei due imputati cercare di convincere il Tribunale che nel momento in cui quella promessa e la relativa presunta accettazione venivano poste in essere Agostino Riccardo non era ancora entrato a far parte del clan Di Silvio. E sarà un lavoraccio anche cercare di dimostrare che l'attuale europarlamentare della Lega Matteo Adinolfi ha partecipato a un buon numero di elezioni amministrative riportando quasi sempre la stessa quota di preferenze, magari senza doverle comprare con la mediazione di un modesto criminale quale è stato Agostino Riccardo. Altra impresa improba per la difesa, interessata a demolire le dichiarazioni di Riccardo, sarà quella di rendere credibile il pentito laddove afferma, peraltro sostenuto da Renato Pugliese, che il denaro intascato per comprare voti veniva speso per altro, in barba agli accordi con i committenti. Benché ciò che conta, non è se e in che misura il candidato Adinolfi e la sua lista di riferimento abbiano ottenuto o meno un surplus di preferenze grazie ai servizi di un criminale; quello che importa è semplicemente il fatto che Del Prete e Forzan abbiano eventualmente accettato la promessa di Agostino Riccardo.
E' così che stanno le cose. Consapevoli delle difficoltà che li attendono, ma non per questo meno determinati a cercare di aprire degli squarci di luce per una rilettura almeno parziale dei fatti che saranno oggetto del processo, i difensori (Gaetano Marino, Michele Scognamiglio e Massimo Frisetti per Del Prete; Pietro Parente e Kristalia Rachele Papaevangeliu per Forzan) si sono appellati al diritto di accesso a tutti i colloqui sostenuti da chi è in un programma di protezione, per individuare la frase o la contraddizione capaci di ridimensionare l'accusa, ma anche questa sembra essere un'impresa. La richiesta rivolta al Gip del Tribunale di Roma è tornata indietro con una risposta evasiva; la stessa domanda è stata riproposta al Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, ma anche quella è tornata indietro: «I verbali li abbiamo tutti, ma l'autorizzazione la deve dare il giudice». La prima richiesta porta la data del 3 dicembre 2021. Siamo alla vigilia del processo e qualche verbale è finalmente arrivato, benché costellato di omissis. Quand'anche arrivassero tutti prima di mercoledì 16 marzo, cioè entro domani, costruirci su una difesa senza averli letti, riletti e metabolizzati, non sarebbe una passeggiata.
Del resto, il primo processo per voto di scambio politico mafioso a Latina non potrà in nessun caso essere una passeggiata.