Nei termini in cui viene descritto dal collaboratore di giustizia Maurizio Zuppardo, il rapporto confidenziale che aveva instaurato con alcuni carabinieri del Comando provinciale di Latina, per un certo periodo avrebbe assunto i connotati di un sistema ben collaudato, poi mantenuto nel tempo, o meglio ramificato in una serie di rapporti diretti con alcuni investigatori.
Nel corso degli interrogatori sostenuti davanti ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia, il pentito ha riferito a circostanze in maniera molto dettagliata, anche se i quantitativi di droga da lui citati, vale a dire le partite sequestrate dai militari grazie alle sue soffiate e la quota che sarebbe stata riconosciuta a lui in cambio dell'informazione, non sembrano proprio coincidere sempre con la realtà dei fatti, ossia con i verbali di arresto rimasti agli atti.
L'inchiesta della Procura di Latina contesta a una decina di carabinieri, a vario titolo e alcuni in concorso tra loro, i reati di concussione, peculato, corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio e possesso di droga ai fini di spaccio con l'aggravante di avere commesso i fatti in violazione dei doveri di pubblico ufficiale. Fattispecie per le quali, in ogni caso, il quadro indiziario configurato dai magistrati non è stato ritenuto, dal giudice per le indagini preliminari, sufficiente per sostenere la richiesta di adozione delle misure cautelari avanzata dalla Procura.
Stando alle rivelazioni di Zuppardo, la sua collaborazione era iniziata più di dieci anni fa con almeno due carabinieri di uno dei reparti deputati alle attività di polizia giudiziaria. Era un informatore come altri, ma secondo quanto ha dichiarato avrebbe ben presto avrebbe instaurato un rapporto molto intenso in termini di informazioni rese. Era una collaborazione nota e gestita insieme a un ufficiale, che gli avrebbe assicurato anche una certa copertura, o meglio una libertà d'azione in città. Perché Maurizio Zuppardo all'epoca non aveva la patente, gli era stata ritirata per la positività agli stupefacenti in occasione di un incidente stradale, ma sostiene che ogni qual volta veniva fermato da una pattuglia, contattava i suoi "referenti" che provvedevano a intercedere per lasciarlo andare via senza conseguenze penali. Una situazione per certi versi surreale, vista la molteplicità delle pattuglie impiegate nel controllo del territorio.
In ogni caso Zuppardo avrebbe iniziato a fornire sempre più soffiate quando i militari avrebbero prospettato la possibilità di ripagarlo con una parte della droga sequestrata agli spacciatori da lui indicati, ovviamente sottratta prima delle operazioni di pesa delle dosi. Il pentito sostiene persino che il fautore di questo sistema, uno degli investigatori indagati, lo avrebbe rassicurato perché così facendo nessuno degli arrestati si sarebbe lamentato per un'accusa formulata con un quantitativo minore di droga rispetto a quella realmente posseduta. Ha riferito di avere ricevuto anche venti o trenta grammi di cocaina alla volta e in un caso persino una busta che conteneva più di un chilo di marijuana.