Tre poliziotti di Latina sono finiti sotto tutela perché alcuni anni fa, a loro insaputa, erano stati oggetto delle attenzioni di un gruppo criminale, a quanto pare tuttora attivo, intenzionato a punire il loro interesse investigativo con una serie di attentati esplosivi mai andati in porto. Lo ha rivelato il collaboratore di giustizia Maurizio Zuppardo, ma nel frattempo la vicenda è diventata un caso che sta creando non poco imbarazzo all'interno della Polizia perché si tratta di una situazione di rischio, per gli agenti coinvolti, emersa solo a distanza di tre anni dagli interrogatori sostenuti dal pentito con i magistrati dell'Antimafia: chi doveva comunicarlo ai vertici dell'autorità di pubblica sicurezza non lo ha fatto e la questione è venuta a galla in questi mesi, in circostanze fortuite.
La tutela adottata nei confronti dei tre poliziotti - quattro in realtà quelli citati dal collaborante, dei quali uno non vive in provincia di Latina - è una forma di cautela dettata dal dubbio che possa essere ancora concreto il rischio di vendette, non trascurabile da parte delle autorità, per quelle indagini che avevano provocato la reazione del sodalizio criminale e poi hanno innescato i relativi procedimenti giudiziari. In sostanza quegli investigatori sono stati trasferiti in contesti lavorativi che non li espongono a particolari rischi e le loro abitazioni sono oggetto di controlli frequenti da parte delle pattuglie.
Sui dettagli forniti dal collaboratore di giustizia finora è emerso ben poco, ma sembra che i promotori degli attentati fossero piuttosto determinati a compiere una serie di azioni dimostrative eclatanti, probabilmente per spaventare i poliziotti nella convinzione di poterli indurre a mollare la presa sull'indagine che stavano conducendo all'epoca. In quel periodo sarebbero state messe in atto anche alcune azioni preliminari degli attentati, alle quali avrebbe preso parte lo stesso Maurizio Zuppardo, ma le intimidazioni volte a colpire nel privato quei detective della Questura materialmente non furono mai poste in essere. Perché, ha rivelato il pentito, lui stesso si sarebbe preoccupato per le possibili conseguenze e fece in modo che la Polizia - all'epoca era un informatore delle forze dell'ordine - trovasse il materiale esplosivo destinato per azioni di questo genere: erano i primi di giugno del 2014 quando i poliziotti della Squadra Mobile si presentarono a Rocca Massima, a casa di un operaio della ditta dei fratelli Zuppardo, scovando sotto terra una scorta di circa tredici chili di panetti di tritolo.
A cosa servisse tutto quel materiale esplosivo è rimasto un mistero per cinque anni, fin quando Maurizio Zuppardo ha deciso di passare dalla parte della Giustizia. Ne ha parlato davanti ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia, ma nel corso degli interrogatori era presente, ai fini investigativi, anche il dirigente della Squadra Mobile di Latina, il vice questore Giuseppe Pontecorvo, che all'epoca non avrebbe informato il questore Rosaria Amato, tantomeno il successore, Michele Maria Spina, benché meno i diretti interessati, i quali hanno continuato a condurre una vita normale, sia nella sfera privata che in ambito lavorativo, ignari di qualsiasi potenziale pericolo. Una mancata comunicazione dettata, sembra, da valutazioni condivise con gli inquirenti.
Fatto sta che proprio uno di questi investigatori, nell'ambito delle attività di servizio, alcuni mesi fa si è ritrovato tra le mani un documento che include la dichiarazione del pentito, datata 2019, sugli attentati mai portati a termine contro di lui e gli altri colleghi. Spaventato dalla portata della rivelazione e soprattutto dal fatto che non era mai stato messo al corrente del rischio, ha informato il questore Spina che a sua volta, accertata la veridicità della vicenda, l'ha portata all'attenzione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica coordinato dalla Prefettura. In quella sede è stata intrapresa la decisione di tutelare i poliziotti coinvolti, sebbene i fatti narrati dal pentito fossero piuttosto datati. Nel frattempo tutta questa storia è finita all'attenzione dei vertici della Polizia di Stato per le valutazioni del caso sulla scelta di tenere nascosta la vicenda, quindi rinviare le cautele per i poliziotti finiti nel mirino.