La genesi dell'indagine, la sfera politica con un focus sulle elezioni di Terracina del 2016 e infine l'esame di Armando Lallà Di Silvio.

In due ore il processo Scheggia ha toccato buona parte dei punti dell'inchiesta dove viene ipotizzata dai magistrati della Dda l'aggravante del metodo mafioso. Il dibattimento si è aperto con il controesame del dirigente della Squadra Mobile Giuseppe Pontecorvo che ha risposto alle domande degli avvocati Lorenzo Magnarelli e Oreste Palmieri, legali rispettivamente di Gina Cetrone, ex consigliera regionale e Armando Lallà Di Silvio.

«Il 27 maggio del 2016 abbiamo fatto un servizio a tutela di Gina Cetrone perché conoscevamo come soggetto Agostino Riccardo e lo stavamo seguendo, ma non vi sono state azioni ritorsive, questo lo abbiamo escluso», ha detto analizzando le fasi salienti dell'inchiesta.
Il dirigente della Mobile ha aggiunto che Umberto Pagliaroli nella primavera del 2016 ha inviato dei messaggi tramite Facebook al collaboratore di giustizia, in cui si discuteva della propaganda elettorale. Nel corso del controesame l'avvocato di Armando Lallà Di Silvio, ha puntato a dimostrare che non vi è stato alcun rapporto diretto tra l'imputato e gli imprenditori Pagliaroli e Cetrone. Secondo la difesa il tabulato di una chiamata della durata di 63 secondi tra l'utenza in uso ad Armando Di Silvio e quella in uso a Pagliaroli non ha valore investigativo. Per l'accusa invece non è così, anzi è una traccia importante perché il 26 aprile del 2016 - ha ripetuto il dirigente della Mobile - Pagliaroli invia uno screenshot di una foto di Gina Cetrone ad Agostino Riccardo.

Una volta finita la deposizione del dirigente della Mobile, il pubblico ministero Corrado Fasanelli ha posto l'attenzione sulla testimonianza dell'ex parlamentare Pasquale Maietta (chiamato dalla difesa della Cetrone), e ha sostenuto che è accusato in un altro procedimento della Dda di violenza privata per delle minacce ricevute nel 2015 da un consigliere comunale di Terracina, ha osservato il magistrato.

Il punto è relativo al fatto se sarà o meno ascoltato con un avvocato e su questo i giudici decideranno.

Nella seconda parte dell'udienza ha parlato in videoconferenza dal carcere Armando Lallà Di Silvio e si è svolto l'esame dell'imputato. Ha negato di conoscere Gina Cetrone e Umberto Pagliaroli. «Non li conosco, mai visti in vita mia. E' da 30 anni che non vado a votare e non mi sono interessato di politica – ha ripetuto – non ho mai frequentato Terracina. Signor giudice non sono un capo, sono un povero zingaro». Il pm ha chiesto dei rapporti con Riccardo Agostino, Armando Lallà Di Silvio ha sottolineato quello che aveva ribadito già durante altre udienze e con alcune dichiarazioni spontanee. «Ha strumentalizzato il cognome nostro, dicendo in giro che gli zingari sono cattivi e sparano –ha ribadito – mi ha messo in un mare di guai, lo conosco perché frequentava i miei figli Samuele e Gianluca, non ho avuto rapporti con lui, andavano girovagando. Non so chi me li ha portati Agostino Riccardo e Renato Pugliese. Loro si spacciavano per zingari ma non lo sono». Sui rapporti con i collaboratori di giustizia, ha ripetuto che: «Non ho mai preso un centesimo da Agostino Riccardo, sono io che gli ho dato qualche euro per comprare le sigarette ma li spendeva giocando, chiedeva i soldi a tutti a nome dei Di Silvio anche agli avvocati».

Dopo quasi un'ora l'esame di Armando Lallà Di Silvio è finito. Poi sarà il turno nella prossima udienza degli altri imputati.