L'udienza più calda del processo «Scheggia» si tiene in un pomeriggio rovente monopolizzato, letteralmente, dalla deposizione della principale imputata, l'ex consigliere regionale Gina Cetrone. Che parlerà per oltre tre ore, sotto un fuoco di fila di domande dei pubblici ministeri della Dda, Luigia Spinelli e Corrado Fasanelli, e si contraddirà più volte, verrà richiamata dal Presidente Caterina Chiaravalloti, avrà uno scontro verbale con la pubblica accusa, attaccherà il capo della squadra mobile, Giuseppe Pontecorvo, presente in aula, si farà beffa di due giornalisti e piangerà. Tutto in una lunga sequenza, nel corso della quale è stato battuto palmo a palmo il 2016, l'anno in cui Gina Cetrone ha avuto 190 contatti telefonici con Agostino Riccardo, oltre a quelli su Messenger. L'ex consigliera parte col botto e afferma che il primo a consigliarle Agostino Riccardo quale attacchino di fiducia «su Latina, sia per il centrodestra che per il centrosinistra, è stato Giovanni Di Giorgi nella primavera del 2013 durante un incontro al Comune di Latina, dove era presente anche Pasquale Maietta, il quale però non disse nulla». A più riprese la Cetrone afferma di non aver mai conosciuto alcuno della famiglia dei Di Silvio, di non aver mai chiesto a Riccardo di fare l'attacchinaggio per la campagna elettorale del 2016 e soprattutto di non averlo utilizzato per «sollecitare» il pagamento del debito per una fornitura di barattoli di vetro ad un cliente di Pescara. Episodio quest'ultimo che risale ad aprile del 2016: la Cetrone ha riferito che quel giorno il cliente si recò presso l'abitazione della madre di lei per chiederle di non incassare un assegno firmato in precedenza; alla stessa ora, nel giardino di casa Cetrone si materializza Agostino Riccardo e l'imputata ribadisce più volte di non sapere nulla di quella presenza né come facesse l'attuale pentito a sapere che alla stessa ora sarebbe arrivato il debitore della fornitura di barattoli. Tuttavia il pubblico ministero contesta alla Cetrone contatti avuti nelle ore precedenti con un'utenza in uso a Samuele Di Silvio (deceduto da qualche settimana in carcere).

Su questo punto l'imputata chiama in causa le dichiarazioni fatte in merito a quell'utenza telefonica dal capo della Mobile di Latina. Al fondo, la ricostruzione di quel curioso incontro non convincerà ma si è andati avanti e nella seconda parte dell'escussione il pm Corrado Fasanelli ha chiesto conto dell'attività svolta da Agostino Riccardo (pentito dal 2017) nell'attacchinaggio dei manifesti elettorali della campagna elettorale delle amministrative di Terracina, sempre nel 2016. Gina Cetrone ha detto che aveva accordato a Riccardo la possibilità di affiggere un centinaio di manifesti ma le sono state contestate intercettazioni nelle quali Riccardo chiede denaro per pagare «gli stipendi» ai ragazzi, affermazioni contro le quali, dai tabulati, non emergono versioni concordanti con l'incarico per soli 100 manifesti al costo di 300 euro. Discrasie sono emerse anche sui rapporti con Renato Pugliese. «Non so chi sia, mai conosciuto», ha detto l'imputata, ammettendo poi di aver parlato con un «collaboratore di Riccardo e mi aveva detto si chiamava Renato». La deposizione dell'ex consigliera regionale è andata come ci si aspettava: si è difesa tagliando alla base l'esistenza di rapporti con i Di Silvio e sostenendo che Riccardo era un uomo usato da Fratelli d'Italia per l'attachinaggio, che le era stato consigliato dal sindaco (allora in carica) di Latina e dunque per lei questo aveva un senso. Ha detto che subito dopo le elezioni politiche e regionali del marzo 2013 si è dimessa da FdI perché non fu valorizzato il suo apporto elettorale e furono invece agevolate altre figure della stessa formazione politica. Ha aggiunto che Riccardo per lei era un semplice attacchino e non sapeva nulla dei rapporti con elementi della criminalità di Latina.