Si chiude una battaglia dura e lunghissima sul diritto del Comune di Aprilia, e per esso l'intera città, ad essere risarcito del danno provocato da Sergio Gangemi nella vicenda dell'estorsione per la quale è stato condannato. Un fatto che negli atti viene definito di «estrema gravità» perché furono usate armi da guerra e per le modalità terribili messe in campo. La seconda sezione penale della Corte di Cassazione, all'esito dell'udienza del 18 maggio ha, infatti, accolto integralmente il ricorso della parte civile Comune di Aprilia, rappresentata dall'avvocato Giulio Vasaturo, annullando la sentenza di secondo grado nella parte inerente le statuizioni civili. Nei primi due gradi di giudizio non era stato riconosciuto alcun risarcimento e ora la Cassazione ribalta completamente i principi contenuti nei primi due verdetti di merito. Sia il Tribunale di Velletri che la Corte di Appello di Roma avevano respinto la richiesta risarcitoria del Comune di Aprilia e del Comune di Pomezia, ritenendo indimostrato il danno alla città derivante dai reati, pur ritenuti, appunto, di «estrema gravità» e di «elevato allarme sociale», perpetrati da Gangemi e dagli altri imputati. La Corte Cassazione ha «corretto» proprio questa interpretazione dei giudici di merito.

Come si sa, in questo processo è accaduto di tutto in relazione alle parti civili. L'imputato Sergio Gangemi aveva offerto una somma risarcitoria al Comune di Aprilia, che rifiutò con una nota pubblica al vetriolo. Ma ancora prima dell'inizio del processo c'era stato un ampio, difficile, dibattito sulla stessa possibilità di costituzione di parte civile, alla fine risolta dalla decisione dell'amministrazione comunale che è stata ammessa unitamente a quella di Pomezia. Nelle more è emerso molto altro sulla figura di Gangemi e comunque le motivazioni della sentenza hanno offerto uno spaccato assai dettagliato del mondo di quello che viene considerato uno dei nomi di spicco della criminalità locale. La stessa estorsione cui si riferisce il risarcimento fu consumata mentre era in regime di sorveglianza speciale.

Nel provvedimento inerente il risarcimento riconosciuto al Comune viene dichiarato inammissibile il ricorso dell'imputato Sergio Gangemi, difeso dall'avvocato Pierpaolo Dell'Anno, e diventa così definitiva la condanna d'Appello alla pena di 7 anni, 2 mesi e 20 giorni di reclusione, più la multa di 2.100 euro, ora esecutiva. Per quanto riguarda il risarcimento dovuto al Comune è stato disposto il rinvio degli atti alla Corte d'Appello, sezione civile, affinché venga liquidato il danno causato dall'imputato alla città di Aprilia, che a questo punto si ritiene sia esistito e sia stato piuttosto grave. Si tratta di un verdetto, le cui motivazioni saranno pubblicate tra qualche settimana, ma che ribadisce un principio rilevante, ossia che la tutela della legalità, dell'immagine e della sicurezza dei cittadini è un compito che spetta alle amministrazioni locali. Molte delle quali, va ricordato, spesso dimenticano di andare a rappresentare quei principi in processi difficili, come era anche quella a carico di Sergio Gangemi. I

reati contestati risalgono al 2016, tra febbraio e giugno; le indagini durarono due anni per arrivare all'arresto del 50enne ritenuto vicino alla ndrangheta; nel 2019, nell'ambito dell'operazione Gerione, la Finanza gli ha sequestrato beni per 10 milioni di euro. A gennaio 2020 in Commissione Antimafia il procuratore Michele Prestipino prese ad esempio la violenza usata in quella estorsione per evidenziare la difficile condizione della provincia di Latina.