Iniziato come un caso di sfruttamento del lavoro e caporalato il processo AgriFontanella si è trasformato nella descrizione di una storia che include anche altro. Nell'udienza di ieri mattina davanti al Tribunale presieduto dal giudice Gian Luca Soana, infatti, sono emersi alcuni dettagli su un paio di appendici della storia originaria. Ossia l'esistenza di due nascondigli per prodotti fitosanitari il cui uso era stato vietato per il tipo di coltura in essere, nonché la fornitura da parte di un tecnico informatico di Sabaudia di un software utilizzato da AgriFontanella per misurare la produttività di ogni singolo bracciante, poi usata per pagare gli stipendi, comunque al di fuori dei parametri del contratto collettivo di categoria. A spiegare nel dettaglio cosa è emerso dalle indagini avviate nell'ottobre 2019 è stato uno dei testimoni chiave, ossia il comandante del Nas Felice Egidio. Fu lui a raccogliere la segnalazione di due cittadini bengalesi che per primi descrissero il traffico di braccianti che venivano prelevati da Terracina e poi condotti sui tre poderi gestiti dalla AgriFontanella tra Sabaudia, San Felice Circeo e Terracina. Il reclutamento e il trasporto erano curati da un altro bracciante indiano che risultava dipendente a tempo indeterminato dell'azienda ma che, in realtà, faceva il caporale, nel senso che trovava la forza lavoro, accompagnava i braccianti sui campi e si faceva consegnare una parte delle retribuzioni, poiché portava personalmente i braccianti in banca per l'incasso da cui detraeva una percentuale. Sia il trasporto che la «cresta» sugli stipendi, secondo quanto riferito dal teste, sono stati accertati con pedinamenti iniziati nell'autunno del 2019. La svolta è arrivata, però, a metà dicembre di quello stesso anno, nel corso della perquisizione nei locali dell'azienda. Lì, quel giorno, gli uomini del Nas trovarono i fitofarmaci vietati nascosti in fondo ad un pozzo che inizialmente i titolari della AgriFontanella non volevano aprire.