La prima volta che il grande pubblico ha conosciuto Massimo Severoni era un giorno freddo di dicembre 2021, il giorno di una delle udienze del maxi processo Alba Pontina. A parlare di lui è stato un teste importante, Antonio Fusco, detto «zì Marcello», in relazione ad una messa in scena quasi teatrale nella quale venne chiamato ad intervenire un certo «don Fefé», un tizio con accento campano incaricato da una vittima di spaventare il clan Di Silvio di Latina. In quella udienza Antonio Fusco svelò che don Fefè nella vita reale era Massimo Severoni, un uomo dei Servizi segreti interni. Così almeno si presentava a Latina negli anni cui si riferiscono i fatti di Alba Pontina, ossia tra il 2016 e il 2017. In realtà Severoni a Roma non faceva la spia bensì il consulente finanziario, neanche tanto in modo trasparente a giudicare da quanto accaduto negli ultimi giorni. Dalla capitale, infatti, si era trasferito negli Emirati Arabi Uniti, un posto per ricchi. E lui lo è, o perlomeno lo era. Severoni, nella sua qualità di Presidente della società Microcredito Italiano spa è stato condannato a restituire poco meno di mezzo milione di euro (498.900 euro per la precisione) alla Regione Lazio, alla fine di un processo nel quale è stato giudicato in contumacia poiché, appunto, si trova a Palm Jemeirah. Gli si contestava di aver sottratto denaro da un fondo pubblico stanziato dalla Regione per «supportare le piccole imprese locali». Severoni avrebbe intascato quei soldi servendosi di una serie di società, di cui 19 con sede all'estero e i fondi da quelle società sarebbero poi stati girati all'ex presidente del Microcredito Italiano con rapporti commerciali che l'accusa ha detto essere inesistenti.