Nelle 32 pagine delle motivazioni relative alla sentenza dell'omicidio di Domenico Bardi, il ladro ucciso in via Palermo dall'avvocato Francesco Palumbo, i giudici ricostruiscono i fatti. Mettono a confronto le versioni dell'imputato, condannato a 14 anni, e i dei complici della vittima. Ripercorrono quello che è accaduto nel giardino condominiale il pomeriggio del 15 ottobre 2017. Secondo la Corte d'Assise, la ricostruzione offerta da Quindici e Bellobuono (che erano insieme a Bardi), appare sostanzialmente convergente e sovrapponibile: «Risultano confortate nei loro passaggi da molteplici elementi tecnici di riscontri e non superate nè adeguatamente confutate dalla opposta prospettazione offerta dall'imputato nel corso del proprio esame dibattimentale».


Agli atti del processo sono finite anche alcune conversazioni tra i componenti della banda che si era presentata in via Palermo per il furto. Ed ecco che da una ambientale Quindici (nel novembre del 2017, un mese dopo l'omicidio), riferisce ai propri interlocutori i fatti e ricostruisce la sua posizione sulla scena del crimine, oltre la siepe. «Non so nemmeno io come ha fatto a non colpirmi, perchè c'erano quelle frasche secondo me». E' all'attendibilità che i giudici dedicano spazio, a partire dall'analisi della versione dell'imputato durante la deposizione nell'udienza del 25 febbraio:

«Le dichiarazioni relative alle ragioni di portare l'arma, giustificata con motivi di prudenza, appaiono inverosimili - osservano - queste ragioni potevano essere salvaguardate tranquillamente mettendo l'arma in un luogo inaccessibile ai figli oppure lasciando l'arma senza caricatore e non spiegano la decisione di portare l'arma con due caricatori completi del munizionamento». Altro punto: Palumbo aveva ribadito di essere stato minacciato con un'arma e che in preda al panico indietreggiando aveva esploso alcuni colpi verso la propria destra. Tutto questo era avvenuto in pochissimi secondi. «Deve rilevarsi come non si comprenda il perché una volta percepita la minaccia da parte del soggetto che impugnava l'arma, l'imputato che rivolgeva la propria pistola verso questo soggetto abbia esploso alcuni colpi verso la propria destra e non in direzione della minaccia percepita e contrastano con l'ipotesi dell'accidentale esplosione dei colpi alcune considerazioni logiche le dichiarazioni di due testimoni». Tra cui una: «Ho visto un uomo che correva intorno al palazzo, mirava, l'ho visto sparare un paio di volte».

La conclusione dei magistrati è questa: «Palumbo ha esploso 12 colpi di arma da fuoco, almeno 8 da una distanza di circa 8 -9 metri nella direzione in cui si trovavano Domenico Bardi e Salvatore Quindici e l'esplosione dei colpi avveniva con la piena volontarietà dello stesso». La Corte d'Assise infine ha sostenuto che non è emersa alcuna circostanza che legittimasse l'uso dell'arma. «La distanza, l'elevata potenzialità dell'arma e la direzione dei colpi hanno determinato l'effetto letale».
Sulla minaccia ricevuta dall'avvocato i giudici hanno aggiunto: «giova ribadire è rimasta priva di dimostrazione». Nel corso del processo più volte le difese hanno sottolineato lo stato d'animo dell'imputato che ha dovuto affrontare una situazione di forte stress. Anche questo è stato preso in esame dai magistrati per il trattamento sanzionatorio: «L'imputato appare meritevole del riconoscimento delle attenuanti generiche per l'incensuratezza e il comportamento assunto e si è trovato a fronteggiare una situazione probabilmente più complessa di quanto avesse previsto».
Sono anche queste le ragioni che lo scorso 23 aprile hanno portato la Corte d'Assise ad emettere la condanna.
Le difese adesso impugneranno la sentenza in Corte d'Appello.