Il caso ha voluto che nei giorni in cui viene presentato dall'Osservatorio regionale della legalità l'annuale rapporto sulle mafie del Lazio, la città di Latina vada registrando la presenza di Federico Berlioz per la presentazione del suo ultimo romanzo noir.


Il rapporto dell'Osservatorio, inevitabilmente costruito sulla solita rete di nomi, famiglie, clan e ora anche pentiti, ha l'accortezza di dare ogni anno una veste nuova all'impianto descrittivo delle presenze criminali sul territorio, e stavolta lo ha fatto coniando l'immagine delle criminalità associata alla borghesia locale.
Ed eccoci alla coincidenza della presenza in città dell'ex criminale Federico Berlioz oggi cittadino modello con alle spalle oltre vent'anni di detenzione, ciò che ne ha fatto un uomo nuovo malgrado l'interminabile permanenza negli istituti di pena nazionali che lo stesso Brelioz, nei suoi scritti ed anche a voce, non esita a descrivere come un inferno all'interno del quale le regole dei detenuti sovrastano quelle dei regolamenti penitenziari, dove non c'è rieducazione, ma piuttosto un allenamento quotidiano e pericoloso alla sopravvivenza.

Federico Berlioz è stato un pericoloso criminale, e se non l'unico, certo il più rappresentativo esponente di una criminalità introdotta negli ambienti borghesi del territorio nel quale ha operato. Lo è stato con trent'anni di anticipo sull'intuizione un po' tardiva dell'Osservatorio della criminalità nel Lazio, e lo è stato a tutto tondo.
Negli anni in cui era dedito al recupero crediti e terrorizzava imprenditori insolventi e malcapitati finiti sotto usura, Federico Berlioz girava in grisaglia e camicia, non tanto per un vezzo personale o semplicemente perché figlio della buona borghesia cittadina, ma soprattutto perché era solito frequentare quotidianamente gli studi professionali di avvocati, commercialisti, consulenti e altri professionisti che si avvalevano volentieri delle sue «prestazioni» per recuperare quello che ritenevano spettasse loro di diritto. Era da questi professionisti e da molti imprenditori spregiudicati che Federico Berlioz e la sua banda venivano utilizzati per azioni di recupero crediti che ogni volta sconfinavano nell'estorsione a suon di minacce, violenti pestaggi e qualche attentato.
La città intera sapeva, e faceva finta di non vedere. Così come alcuni vertici di questura e caserme tolleravano le scorrerie di quel furioso borghese armato, in cambio di informazioni sulla parte più in ombra e spesso intoccabile della città, informazioni che costituivano l'ossatura del cosiddetto lavoro quotidiano di intelligence, e che consentivano per lo più ai questori di passaggio nella periferia pontina di avere sempre un asso nella manica. E come è buona tradizione in qualsiasi istituzione dove l'avvicendamento dei vertici è una regola, a ogni passaggio di testimone chi lasciava informava il subentrante su quali erano le fonti migliori da coltivare per orientarsi al meglio durante la permanenza a Latina.

Finché un questore più intraprendente e spregiudicato degli altri, venuto a Latina in missione per conto del Ministero con il compito di spegnere gli ardori di una Procura che scimmiottava i colleghi milanesi di "mani pulite" e che aveva già messo a ferro e fuoco le pubbliche amministrazioni locali con inchieste e manette, decise di usare Federico Berlioz, o di provare a farlo, come ariete per scardinare i contrafforti di Piazza Buozzi, perché all'epoca, si era nel 1993, la Procura era ancora coinquilina del Tribunale. In quel preciso momento, il criminale borghese Federico Berlioz compie un ulteriore salto di qualità. Probabilmente per la prima volta trattava direttamente con un questore anziché con gli uomini delle sezioni, e assaporava il gusto dell'onnipotenza. Ma sarebbe stata l'ubriacatura di un momento, perché il questore assolverà in proprio, con il mezzo delle microspie piazzate nell'ufficio di un magistrato e con il trasferimento del poliziotto che portava ogni giorno notizie di reato, il compito di mettere il freno alla Procura. E dunque Federico Berlioz, da prezioso informatore era diventato nel giro di un paio di mesi un ingombrante criminale che sapeva troppo.
La strategia per eliminarlo prende forma e si sostanzia con l'incarico di un duplice omicidio. Sembra fantascienza in versione noir, ma invece è Latina. Berlioz si presta alla missione e spara a due ragazzi ignari, ma uno dei due si salva e scombina i piani della Questura. Federico Berlioz doveva morire, e invece finisce in carcere per omicidio. La Questura traballa, ma il questore è solido, forte di grandi coperture a Roma, spregiudicato anche nella sorta di autodenuncia che l'allora capo della Squadra Mobile esibisce ai magistrati per offrire una versione credibile per quello che era accaduto nella campagne di via Cerreto La Croce. I poliziotti coinvolti in quella schifezza verranno prosciolti senza imbarazzo dalla Corte di Assise di Latina e sulla vita del criminale borghese Federico Berlioz verrà spinto il tasto «pausa» che lo terrà lontano dalla vita civile per 24 anni, dal 1995 al 2019.

La città di Latina, come è solita fare, spazza quelle briciole di storia sotto il tappeto dell'indifferenza e dell'oblio, e con un sospiro di sollievo riprende la vita di sempre. I professionisti non riceveranno più visite in studio dal criminale in grisaglia, ma troveranno il modo per avere dei validi intermediari che si rivolgeranno al crimine di strada, altrettanto affidabile e meno curioso, meno propenso a capire e decifrare le dinamiche di un mondo che non gli appartiene e che non vogliono imitare se non per un aspetto, il denaro.
La venuta di Federico Berlioz a Latina per la presentazione del libro «La fabbrica del crimine», interamente dedicata alla vita all'interno del carcere, è passata quasi inosservata, ed è stata un'occasione sprecata, perché attraverso la vicenda personale di Federico Berlioz si potrebbe tentare di fare un passo avanti nel tentativo di comprendere chi siamo stati, se siamo cambiati o meno negli ultimi trent'anni, oppure se abbiamo soltanto variato il copione di una recita sempre uguale, come i rapporti annuali sulla presenza mafiosa sul territorio pontino.

Varrebbe la pena spendersi per cercare di capire in che misura e attraverso quali forme la società pontina, tutta, ha condiviso negli ultimi decenni le gesta criminali di questo o quel gruppo, credendo di non esserne mai sfiorata, a volte presumendo di saperla sfruttare a proprio vantaggio, altre volte ignorandone non solo l'esistenza ma perfino la presenza, sempre scrollandosi di dosso gli schizzi che qualsiasi forma di complicità inevitabilmente ti regala.

Non è scontato che l'attuale cittadino modello Federico Berlioz voglia e possa accettare di reindossare i panni del criminale borghese di trent'anni fa per venire in città a raccontare cosa abbia rappresentato per lui quell'esperienza e cosa pensi oggi di quel mondo che ha attraversato con padronanza e da protagonista e di quei professionisti e imprenditori che gli affidavano volentieri il compito di tutelare qualche loro interesse senza disturbare forze dell'ordine e tribunali.
Come l'altro ieri alla presentazione del libro, non ci sarebbe molta gente disposta a respirare e fare i conti con quella polvere tirata via da sotto il tappeto dell'indifferenza.