In due ore il pubblico ministero Andrea D'Angeli ha riscritto la fragorosa caduta del gruppo alimentare Midal. Il gigante dai piedi d'argilla era fallito per un buco milionario: 71 milioni di euro. Il magistrato inquirente ieri pomeriggio - davanti al Collegio Penale del Tribunale, presieduto dal giudice Gianluca Soana - ha tirato le somme per gli imputati e ha chiesto cinque condanne per i vertici della società. Il totale complessivo è di 34 anni di reclusione.

Il pm ha ripercorso le fasi salienti del tracollo, a partire dal contributo arrivato dalla consulenza di parte, alle altre risultanze investigative raccolte nel corso del processo: sia dai testimoni che dagli uomini della Guardia di Finanza che avevano indagato. Il contesto emerso è quello di una società collassata e coperta di debiti.

Sulla scorta di documenti e delle deposizioni dei testimoni, il pm ha sottolineato i ruoli degli imputati e i numeri di uno tra i più grandi fallimenti di sempre mai registrati in provincia di Latina. Lo ha fatto con una ricostruzione tecnica e analitica: dalla falsa rappresentazione dello stato patrimoniale in cui si trovava la società, alla mancanza di soldi per pagare la merce, alle perdite iniziate nel 2005, al ruolo anche delle altre società gravitanti attorno al gruppo madre. Il magistrato alla fine ha chiesto 10 anni per Rossana Izzi, presidente del Consiglio di amministrazione, 7 anni per il revisore addetto al controllo contabile Sandro Silenzi, commercialista di Frosinone, ex assessore comunale del capoluogo ciociaro, 7 anni e sei mesi per Sergio Gasbarra, presidente del Collegio sindacale, sei anni per Paolo Barberini, ex amministratore delegato della Midal.

E infine 3 anni e 4 mesi per Giacomo Pontillo. Chiesta l'assoluzione per i sindaci Stefano Pisanu perchè il fatto non costituisce reato e Pietro Gasbarra per non aver commesso il fatto e perchè il fatto non costituisce reato. Il pm ha chiesto il non doversi procedere perchè i reati sono estinti per prescrizione nei confronti di Antonio e Piero Bova e Giuseppe Piscina. Gli imputati nei cui confronti è stata chiesta la condanna sono ritenuti i presunti responsabili di aver dissimulato lo stato di difficoltà della società con operazioni che hanno distratto all'attività degli importi milionari ai danni dei creditori con bilanci falsi. Le parti civili rappresentate dagli avvocati Guglielmo Raso, Valentina Macor, Claudio Maria Cardarello, Franco Sassu, si sono riportati alle richieste della pubblica accusa e hanno sottolineato il danno morale degli ex dipendenti. «Quando hanno perso il lavoro hanno perso un ruolo nella società». I reati ipotizzati sono oltre che bancarotta anche accesso abusivo al credito. Secondo il castello accusatorio, il buco economico era stato provocato da operazioni che hanno indirizzato l'azienda al dissesto. Dagli scaffali vuoti in alcuni supermercati della città al tracollo finanziario, il passo è stato breve.