Sarà un 2023 nero, anzi nerissimo, per la provincia di Latina, per il basso Lazio e per il Lazio che faranno registrare una crescita esponenziale della disoccupazione. A dirlo è l'Ufficio studi della Cgia di Mestre sulla base di una elaborazione dei dati Istat e delle previsioni Prometeia, che per la Ciociaria prospetta 2.805 disoccupati in più (quinta peggiore performance in Italia) con una popolazione di persone senza lavoro che passa da 21.100 a 23.905 unità con un aumento percentuale del 13,3%, il peggiore sul territorio nazionale e più del quadruplo della media italiana che è del 3,1%; anche Latina se la passa male, considerato che i nuovi disoccupati saranno 3.160 (quarta in negativo in Italia), con il dato 2023 che sarà di 28.460 persone senza un'occupazione contro le 25.300 del 2022 con aumento del 12,5%.

Complessivamente, nel basso Lazio, nel prossimo anno, si registreranno 5.965 disoccupati in più rispetto al 2022 con una popolazione di "senza lavoro" che toccherà quota di 52.365 unità contro le 46.400 dell'annualità in corso con un aumento percentuale complessivo del 12,9.
Il disastro del Lazio non si ferma qui: tra le prime cinque province peggiori in Italia per nuovi disoccupati tre (Roma, addirittura seconda dopo Napoli, Latina e Frosinone) sono laziali e la regione è seconda, a livello nazionale, solamente alla Sicilia e fa anche peggio della Campania (3ª). Nel Lazio, nel 2023, ci saranno 12.665 nuovi disoccupati tanto che la popolazione di persone senza lavoro passerà da 203.873 unità del 2022 a 216.538 del 2023 con un aumento del 6,2%, il doppio della media nazionale che è del 3,1%.

Per l'anno venturo, quindi, le previsioni economiche non sono particolarmente rosee; rispetto al 2022 la crescita del Pil e dei consumi delle famiglie è destinata ad azzerarsi e ciò contribuirà a incrementare il numero dei disoccupati, almeno di 63.000 unità. Il numero complessivo dei senza lavoro, infatti, nel 2023 sfiorerà la quota di 2.118.000. In termini assoluti, le situazioni più critiche si verificheranno nel Centro-Sud: ripartizione che già oggi presenta un livello di fragilità occupazionale molto preoccupante. Napoli, Roma, Caserta, Latina, Frosinone, Bari, Messina, Catania e Siracusa saranno le province che registreranno gli incrementi maggiori.

Nel 2023, il tasso di disoccupazione è destinato a salire all'8,4 per cento. Un livello, comunque, che torna ad allinearsi con il dato del 2011; anno che ha anticipato la crisi del debito sovrano del 2012-2013. Come si diceva, il Centro-Sud sarà la ripartizione geografica più "colpita": l'incidenza della sommatoria dei nuovi disoccupati di Sicilia (+12.735), Lazio (+12.665) e Campania (+11.054) sarà pari al 58 per cento del totale nazionale.

A livello territoriale le 10 province più interessate dall'aumento della disoccupazione saranno Napoli (+5.327 unità), Roma (+5.299), Caserta (+3.687), Latina (+3.160), Frosinone (+2.805), Bari (+2.554), Messina (+2.346), Catania (+2.266), Siracusa (+2.045) e Torino (+1.993). Poche le realtà territoriali che, invece, vedranno diminuire il numero dei senza lavoro. Si segnalano, in particolare, Perugia (-741), Lucca (-864) e Milano (-1.098).

Sebbene non sia per nulla facile stabilire in questo momento i settori che nel 2023 saranno maggiormente interessati dalle riduzioni lavorative, pare, comunque, di capire che i comparti manifatturieri, specie quelli energivori e più legati alla domanda interna, potrebbero subire dei contraccolpi occupazionali, mentre le imprese più attive nei mercati globali tra cui quelle che operano nella metalmeccanica, nei macchinari, nell'alimentare-bevande e nell'alta moda saranno meno esposte. Non solo, stando al sentiment di molti esperti e di altrettanti imprenditori, altre difficoltà interesseranno i trasporti, la filiera automobilistica e l'edilizia, quest'ultima penalizzata dalla modifica legislativa relativa al superbonus, potrebbero registrare le perdite di posti di lavoro più significative.

Secondo gli ultimi dati presentati giovedì scorso dall'Istat, dal febbraio 2020 (mese pre Covid) fino a ottobre 2022 (ultimo dato disponibile), i lavoratori indipendenti (sono inclusi anche i soci di cooperative, i collaboratori familiari, ecc…) sono scesi di 205.000 unità, mentre i lavoratori dipendenti sono aumentati di 377.000. Certo, tra questi ultimi, si registra, in particolar modo, l'incremento del numero degli occupati con un contratto a tempo determinato, tuttavia questa comparazione evidenzia che la crisi pandemica e quella energetica hanno colpito soprattutto le partite Iva che, a differenza dei lavoratori subordinati, sono sicuramente più fragili.

Il rischio di mettere a repentaglio la coesione sociale del Paese è molto forte. Le chiusure stanno interessando sia i centri storici sia le periferie delle città, gettando nell'abbandono interi isolati, provocando un senso di vuoto e un pericoloso peggioramento della qualità della vita per chi abita in queste realtà.