La Loas Italia resterà fuori dalla "white list" delle aziende al sicuro da interessi e infiltrazioni criminali.
La sentenza del Consiglio di stato infatti, ha accolto il ricorso presentato dalla Prefettura e dal Ministero dell'Interno che avevano deciso di appellarsi per chiedere la riforma della sentenza del Tar pontino che aveva accolto, al contrario, la richiesta dell'azienda apriliana.
La Loas infatti, dopo il terremoto giudiziario legato all'inchiesta che la vuole coinvolta in un maxi giro di rifiuti interrati nella cava di via Corta, alle porte di Aprilia, gestita dalla famiglia Piattella, venne esclusa dall'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa. Una sorta di interdittiva disposta dalla Prefettura nell'ottobre del 2020, che non le permetteva di avere incarichi con la pubblica amministrazione per il trasporto di materiali a discarica per conto terzi e smaltimento di rifiuti conto terzi. La Loas si era rivolta al Tar che quel ricorso lo ha accolto il 24 marzo del 2021. Il collegio del Tar ha sottolineato - tra le altre cose - che «il signor Martino è stato condannato per un reato ambientale di cui all'art. 452 quaterdecies del cod. pen., …non configurando, perciò, un reato fine dell'art 416 c.p., solo in tal caso ostativo alla permanenza nella ‘White list'» e per questo motivo ha annullato il diniego della Prefettura reinserendo la Loas Italia nell'elenco.
Per Prefettura e Ministero però, la sentenza conteneva un errore. La decadenza del socio della Loas - secondo le tesi contenute nel ricorso al Consiglio di stato - doveva scattare in automatico visto che «il sig. Antonio Martino, socio al 50% della Loas Italia, con sentenza ex art. 444 c.p.p. (applicazione della pena su richiesta delle parti) è stato condannato per reati di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, in concorso» e inquinamento ambientale. La questione, sottolinea l'organo di appello della Giustizia amministrativa, è se ai fini dell'automatismo della esclusione dalla white list "pesi" di più il reato associativo (che di fatto nella previsione dell'articolo 416 del codice penale non è stata contestata), o la condanna per un reato espressamente previsto dalle norme che regolano, appunto, l'esclusione o la decadenza, cosa che di fatto è stata riconosciuta con la sentenza di applicazione della pena concordata, il così detto patteggiamento.
La sentenza è una dichiarazione importante della necessità di tutelare l'ambiente da danni e distastri: «Il bene ambiente non riceve una tutela adeguata se protetto esclusivamente mediante norme di matrice penalistica, volte a reprimere un illecito che si è già perfezionato e che ha già prodotto danni e modifiche permanenti nella realtà naturale: l'intervento dello Stato non è, in tale ipotesi, né tempestivo, né esaustivamente utile, consistendo in ultima analisi l'interesse pubblico alla salubrità dell'ambiente non nella percezione di un ristoro monetario in conseguenza della sua compromissione, o nella mera punizione dei responsabili, bensì nell'impedimento stesso della causazione del danno». Si sancisce, o si sottolinea la necessità di correlare la prevenzione del danno ambientale e le misure anticipatorie e preventive, ma soprattutto si sottolinea «la presunzione assoluta di pericolosità di alcune fattispecie di reato, che vincola l'Autorità competente (la Prefettura) ad adottare l'informativa interdittiva antimafia nei confronti dell'impresa o della società che sia stata interessata da provvedimenti dell'autorità penale per determinati reati». D'altronde il campo in cui opera la Loas è da sempre un terreno sotto attenta osservazione proprio per la frequente e facile permeabilità delle aziende ad infiltrazioni e condizionamenti. Da qui si deve riconoscere che «la finalità preventiva ed anticipatoria che permea l'istituto in esame giustifica l'attivazione dei poteri inibitori di cui è titolare l'Autorità di Pubblica Sicurezza in uno stadio assolutamente preliminare del procedimento penale e, quindi, senza che si sia giunti alla pronuncia di un provvedimento di condanna definitiva ed alla formazione del relativo convincimento ‘oltre ogni ragionevole dubbio'».
A questo punto bocciando la base della decisione del Tar, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di Prefettura e Ministero e ha di fatto ribaltato la sentenza di primo grado: la Prefettura aveva il potere, le motivazioni e il sostegno normativo per non reinsere la Loas nella White List.