Socio e, al contempo, principale creditore della partecipata Slm: che strano destino è toccato all'amministrazione di Latina. Negli atti dell'ammissione dell'ente allo stato passivo della Slm spa, fallita a luglio scorso, è cristallizzata la storia di questo curioso, a tratti paradossale, doppio ruolo. Tutto inizia con l'accensione di un mutuo per finanziare la società. E' dicembre del 1997 e il mutuo viene concesso da Crediop come risulta dall'atto del notaio Giovanni Giuliani , soldi destinati «al finanziamento del programma di investimenti per la realizzazione di una piattaforma logistica per le merci da attivare nel quartiere di Latina Scalo».

Tre anni dopo, il 30 ottobre 2000, con atto del notaio Giuseppe Coppola l'ente Comune di Latina conferisce un compendio immobiliare in favore della società fallita, con contestuale acquisizione da parte del Comune di azioni corrispondenti al 95,5% del capitale sociale di Slm. Quel conferimento avrebbe dovuto portare l'accollo del mutuo a carico della società ma Crediop rifiutò espressamente tale clausola. Dunque le rate sono state pagate dal Comune di Latina e il debito è stato estinto al 31 dicembre 2013. Sempre l'ente ha chiesto di rientrare dalle rate con una serie di comunicazioni alla società, che hanno prodotto, semplicemente, l'iscrizione delle rate alla voce di bilancio di «debiti verso soci per finanziamenti». E' questo il motivo per il quale oggi il Comune di Latina è chirografo iscritto al passivo definitivo per una somma di 3,8 milioni di euro, che è superiore al valore attribuito al complesso immobiliare della Società Logistica Merci che, infatti è di 3,5 milioni di euro. Il problema di fondo di questa storia è che il Comune si è assunto l'onere di pagare le rate del mutuo con la consapevolezza che la società non era in attività e mai ha iniziato a lavorare o a produrre, quindi per tutti questi anni si era un po' tutti nella condizione di conoscere che quelle rate mai sarebbero rientrate nel bilancio del Comune di Latina. Gli immobili dell'ex zuccherificio sono stati conferiti con la formula dell'aumento di capitale e oggi quegli stessi immobili rischiano di essere svenduti ad un privato dopo che la parte pubblica ha pagato tutto. La Slm non risulta sia mai stata in grado di produrre, né è stata mai (proprio per questo) in grado di restituire le rate. Aveva supposto bene Crediop che, infatti rifiutò, la clausola sin dal 2001.

Tutti i bilanci della Slm sono stati in perdita, dal primo momento, ossia dalla data del primo bilancio presentato il 31.12 2000 che riportava perdite patrimoniali, nonostante gli ulteriori interventi di ricapitalizzazione. Sostengono i curatori del fallimento di Slm che c'era «una strutturale inadeguatezza dei flussi di cassa a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate dalla società... ciò a fronte di entrate esigue rispetto all'indebitamento e derivanti prevalentemente dalla concessione in godimento a terzi di aree del sito industriale». Per tale ragione il 12 luglio del 2004 il consiglio di amministrazione di Slm delibera la conclusione di un ulteriore finanziamento bancario pari a due milioni e mezzo di euro. da quello stesso momento, però, partì una sorta di era del ridimensionamento delle velleità imprenditoriali del Comune, che, visto il lievitare degli investimenti messi sulla Slm, avvia la ricerca di un partner privato o più di uno; insomma si mise a caccia di capitali privati che non sono mai arrivati. L'esigenza principale a partire dal 2004 era quella di ridurre i costi ma, ancora di più, avviare un programma in grado di potenziare le entrate, scelta che comunque non ha mai prodotto risultati. Tre anni più tardi, nel 2007, l'amministrazione comunale formalizzò l'intenzione di dismettere la partecipazione dalla Slm o quantomeno di ridurla; nel 2010 comincia il regime di messa in liquidazione che è durato per ulteriori 12 anni, fino a luglio scorso quando, appunto, è arrivata la sentenza dichiarativa del fallimento della società per azioni. Ora è evidente che il Comune ha pagato tutto il mutuo, le rate non sono state restituite e mai lo saranno. L'immobile andrà a privati ad un costo inferiore al credito comunque vantato dal Comune (nonché già socio di maggioranza) e la differenza forma un pessimo investimento pubblico, se non lo si vuole chiamare «spreco».