Quello che hanno dichiarato i collaboratori di giustizia è ritenuto attendibile dal Tribunale. Lo spiega il giudice Francesco Valentini nelle motivazioni della sentenza del processo Scheggia dove erano imputati l'ex consigliera regionale Gina Cetrone, l'ex marito Umberto Pagliaroli, Armando Di Silvio e il figlio Gianluca Di Silvio.
In una lunga ricostruzione che attraversa due anni di processo e ripercorre deposizioni, intercettazioni e messaggi, il Collegio penale si sofferma sul ruolo dei pentiti e in particolare di Agostino Riccardo, un tempo appartenente al clan Di Silvio. I magistrati definiscono le dichiarazioni: «attendibili, logiche e coerenti».
E poi: «conformi ad altri riscontri, tra cui intercettazioni e le dichiarazioni dell'altro collaboratore Renato Pugliese».

Il Tribunale parte da una circostanza: «E' suggestiva e priva di rilievo la frase rilasciata da Riccardo in un verbale del 2018 riferita ai due imputati Cetrone e Pagliaroli. "Dottò li facciamo arrestà tutti"». Secondo i giudici è «un'enfasi autoreferenziale». Per il reato che riguarda l'estorsione all'imprenditore abruzzese nella narrazione dei fatti viene ripercorso il viaggio a Pescara per riscuotere i soldi da Umberto Pagliaroli. I giudici rileggono i messaggi scambiati con Riccardo che contatta Pagliaroli dicendogli di chiamarlo con urgenza. A dare manforte all'impianto accusatorio l'aggancio delle celle telefoniche anche nella città adriatica che per il Tribunale testimoniano l'esito dell'operazione. La difesa di Gina Cetrone ha sostenuto che non vi era necessità di promuovere la riscossione dei crediti, «disponendo di un assegno bancario consegnatole dall'imprenditore a garanzia delle forniture ricevute. A sostegno di questo veniva prodotta una copia illeggibile - ha scritto il Tribunale - di un assegno bancario». Sul fronte dell'aggravante mafiosa la prospettazione dei giudici è questa.