Dopo anni di liberalità indiscriminata e tanta approssimazione, il nodo delle concessioni balneari rischia di venire al pettine. La recente sentenza del Consiglio di Stato che ha stabilito che la proroga automatica delle concessioni balneari è in contrasto con l'articolo 12 della direttiva europea, ha messo in allarme l'intero settore degli operatori balneari italiani, che al momento sanno di poter contare sul termine ultimo di validità delle concessioni fissato al 31 dicembre 2023, e che se non cambierà qualcosa entro le prossime settimane, ci si dovrà rassegnare: per poter riavere la concessione bisognerà partecipare a un nuovo bando di gara, senza alcuna garanzia di successo.

E anche su questo versante i giudici del Consiglio di Stato sono stati chiari, perché a loro avviso «ci sono le condizioni e il tempo necessari per consentire alle amministrazioni locali di bandire le gare per il rilascio delle nuove concessioni demaniali». Ma i Comuni rivieraschi, anzichè correre, sono fermi in attesa che il Governo trovi il modo per ovviare allo stallo.

A Latina, su 9.300 metri lineare di arenili fruibili per finalità turistico ricreative, la quota complessiva occupata da concessioni è di 1.637 metri lineari, cioè il 17,44 % del totale.
E' probabile che questo dato sia riferito alle misure delle concessioni all'epoca del primo rilascio e non tengano conto delle successive autorizzazioni all'estensione delle superfici rilasciate per compensare le perdite di superficie subite dagli operatori balneari a causa del fenomeno dell'erosione.

Dal momento che la legge stabilisce che non si possano rilasciare concessioni utili per oltre il 50% dell'arenile disponibile, tecnicamente resterebbero da affidare in concessione altri 3.000 metri lineari di arenile, pari al 32,5 % del totale.
Le concessioni balneari attualmente in essere sul litorale di pertinenza del Comune di Latina sono 28 e nell'anno 2022 hanno portato nelle casse dell'ente, sotto forma di canone demaniale, poco meno di centomila euro complessivi. Una miseria che equivale a circa 3.500 euro in media per ciascuno stabilimento.

Ma il problema delle concessioni balneari, perlomeno a Latina, non è tanto quello del canone irrisorio, ma piuttosto quello del rispetto delle condizioni previste da un lato dal bando do gara, e all'altro dalle offerte che hanno consentito ai concessionari di ottenere il titolo.
Chi paventa oggi il pericolo di assistere, a causa dell'obbligatorietà di nuove gare per le concessioni, allo sbarco di società multinazionali sulle spiagge italiane per prendere il posto di operatori che vantano a volte decenni di attività, lo fa soprattutto per tirare acqua al proprio mulino, senza tener conto di una serie di fattori che farebbero pendere l'ago della bilancia a favore di qualsiasi grande impresa interessata alle concessioni balneari e a scapito dei nostri operatori.

Fatte salve le situazioni cosiddette «storiche» dell'Adriatico, della Riviera Ligure e della Toscana, la gran parte degli oltre 12.000 titolari di concessione balneare in Italia non rispetta le regole di ingaggio, soprattutto sul fronte dei livelli occupazionali per la gestione degli stabilimenti e sulla qualità dei servizi offerti, troppo spessi inadeguati ai prezzi praticati per l'affitto di ombrelloni e lettini.

Spesso, come ha rilevato una recente indagine condotta da Legambiente, i titolari delle concessioni non pagano il canone dovuto, col risultato di una evasione accertata di 111 milioni di euro nel quadriennio 2016-2020, stando ai dati forniti dalla Corte dei Conti.
Quanto alle concessioni più recenti, quelle rilasciate nell'ultima dozzina di anni, raramente fanno a capo a famiglie che hanno fatto dell'impresa turistica stagionale la loro unica fonte di reddito; oggi le concessioni sono per lo più in mano di imprenditori o professionisti che in passato non avevano mai avuto a che fare col turismo e che oggi subaffittano le loro strutture a terzi, guadagnano così senza occuparsi dell'attività ricettiva, che diventa così soltanto uno strumento da sfruttare stagione dopo stagione per ottenere il massimo profitto. Una logica che le aziende familiari non possono permettersi di seguire, perché a loro ogni stagione serve per cercare di fidelizzare quanto più possibile la clientela, se vogliono sperare di vederla tornare l'anno successivo.

Se non è tutto oro quel che luccica, è anche vero che non si può fare di tutta un'erba un fascio, e dunque bisogna porsi la domanda su cosa si potrebbe fare per non cancellare con un colpo di spugna un'intera economia fatta di investimenti e prospettive.
Se da un lato la soluzione potrebbe essere per gli enti locali quella di predisporre dei bandi di gara che tengano conto di fattori tesi a privilegiare le imprese locali e a premiare la continuità delle aziende già impegnate nel settore turistico balneare, dall'altro il punto di svolta irrinunciabile dovrebbe essere quello di imporre il rigido rispetto delle regole da parte di coloro che ottengono una concessione balneare.

Costringere tutti a rispettare le finalità di una struttura balneare; assumere il personale con regolari contratti di durata stagionale; impedire che uno stabilimento o un chiosco possano trasformarsi in una discoteca o in un ristorante; garantire il mantenimento del decoro e della pulizia del tratto di demanio in concessione; rispettare le distanze previste tra un ombrellone e l'altro; esporre il listino dei prezzi di ombrelloni, lettini e bevande.
Va da sé che un ruolo fondamentale per riportare il settore nel solco della correttezza gestionale garantendone così l'immagine e la continuità, è quello delle associazioni dei balneari. Basta con la rivendicazione del mantenimento a tutti i costi di privilegi a volte immeritati, è ora di cambiare passo.