E' entrato nel vivo il processo che si sta celebrando in Corte d'Appello a Roma di Alba Pontina, la madre di tutte le inchieste dove è stato contestato il vincolo associativo con l'aggravante delle modalità mafiosa. Nel luglio del 2021 erano state emesse le condanne nei confronti degli imputati appartenenti al clam Di Silvio giudicati con il rito ordinario dal Collegio penale. La pena più alta era stata emessa nei confronti di Armando Lallà Di Silvio. Anche a Roma ieri dove si è aperto il dibattimento si sono costituite parte civile il Comune di Latina, l'Associazione Caponnetto e la Regione Lazio. In aula sono state calendarizzate le udienze: il prossimo 4 maggio alle 9,30 è prevista la discussione del procuratore generale e delle parti civili oltre ai difensori. Si andrà avanti poi al 15 maggio quando se non ci saranno le repliche è prevista la camera di consiglio e la sentenza. In primo grado Armando Lallà Di Silvio era stato condannato a 24 anni e la moglie Sabina De Rosa a 15 anni. Erano state in tutto otto le condanne inflitte che avevano accolto la richiesta della pubblica accusa rappresentata dai pubblici ministeri Luigia Spinelli e Claudio De Lazzaro.

«La straordinaria influenza criminale del clan mafioso e la forza intimidatrice hanno compromesso la reputazione e l'identità storica sia del Comune che della Regione Lazio», avevano messo in luce le parti civili. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado, il Collegio penale aveva sottolineato l'attendibilità dei collaboratori di giustizia, a partire da Renato Pugliese. «Il racconto - si legge nelle motivazioni - è connotato da organicità rivelando i ruoli, le modalità, rivelando circostanze di cui soltanto un soggetto del gruppo poteva essere a conoscenza». I giudici che avevano condiviso le richieste dell'accusa avevano ribadito quanto l'azione del clan si fosse stratificata nella città. «Anche nei settori della vita politica e sociale della collettività proponendosi i membri del gruppo come risolutori delle problematiche di vita quotidiana dei cittadini».

Le misure restrittive erano state emesse nel giugno del 2018 nel corso della maxi inchiesta della Squadra Mobile.