Le minacce arrivavano da Facebook: «La mia parola è legge». Oppure anche dal vivo. «Attento che diamo fuoco al tuo locale».
In aula davanti al Collegio penale presieduto dal giudice Gian Luca Soana e al pm Corrado Fasanelli, nel processo Purosangue Ciarelli è stata ripercorsa l'indagine della Dda. L'ex dirigente della Squadra Mobile di Latina Giuseppe Pontecorvo ha ricostruito l'inchiesta. Altre due vittime hanno raccontato quello che hanno subito. L'investigatore ha ribadito l'ostentazione criminale del gruppo: «E' stato possibile ricostruirla anche con le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia». In aula ha messo in luce il peso delle intimidazioni ricevute da imprenditori, professionisti, commercianti, dal titolare di uno stabilimento a Terracina e da una persona detenuta in carcere. Le richieste arrivavano alle vittime anche tramite l'account Purosangue Ciarelli e i social network. In un caso una delle parti offese è andata in ospedale per uno stato di ansia. Pontecorvo ha ricordato quando una vittima aveva ricevuto una richiesta di denaro. «Ti chiedo di restituirmi i 250mila euro, se voglio ti trovo».

Nel pomeriggio ha deposto un avvocato. Era stato minacciato perché cercava di riprendersi l'appartamento dove c'era Roberto Ciarelli. L'immobile era stato ottenuto con l'intervento di Manuel Agresti che aveva finto di contrarre l'affitto per farlo entrare. «Una signora mi aveva chiesto disponibilità per un appartamento, lo hanno visto, e poi il giorno dopo quando sono andato, ho visto che c'erano delle donne di origine nomade che non conoscevo - ha detto il testimone - ho chiesto a quelle persone cosa ci facessero e mi hanno detto che avevano ricevuto le chiavi da Agresti». L'episodio è dell'ottobre del 2019. «Quando sono andato il giorno dopo ho trovato Roberto Ciarelli, in casa c'erano delle persone con le quali non avevo stipulato il contratto, chiedevo la restituzione dell'appartamento». Il testimone ha sostenuto che gli sono stati portati via i mobili. Quando era stato preso a sommarie informazioni il primo aprile del 2020, aveva aggiunto di essere stato minacciato «Domani muori» e di essersi sentito seguito. In aula ha tirato fuori una lettera ricevuta dal carcere da Agresti dove l'imputato gli ha chiesto scusa. «Agresti non mi ha mai minacciato», ha puntualizzato il testimone. Ha deposto infine il titolare di un'attività di ristorazione. «Avevo parcheggiato male l'auto con una ruota sul marciapiede e Matteo Ciaravino aveva un bambino piccolo di pochi mesi in braccio, mi ha detto che dovevo spostare l'auto perchè la sorella non riusciva ad uscire dal portone, mi ha detto "non sai chi sono io" e mi ha strattonato. Successivamente mentre ero in auto sono stato costretto a fermarmi da una Mercedes grigia - ha aggiunto - dove c'erano Roberto Ciarelli e Ciaravino, ho fermato l'auto in viale dello Statuto dove c'erano delle telecamere. Ciaravino mi ha detto "Abbiamo preso informazioni su di te". E Roberto Ciarelli mi ha detto: Fai attenzione, ti diamo fuoco all'attività». Il testimone ha dichiarato di non aver denunciato perchè la questione era risolta. «In effetti avevo parcheggiato male, Ciaravino con un familiare doveva andare dal medico con il bambino - ha aggiunto - nell'immediatezza non ho denunciato nessuno perchè non era successo nulla fondamentalmente. Non sono omertoso e non mi faccio intimorire». Dopo questa deposizione ha rilasciato spontanee dichiarazioni Ciaravino che ha ricostruito il fatto negando di aver minacciato l'uomo. «Il bambino che aveva undici mesi, aveva una crisi respiratoria, era mio nipote, rischiava la vita, l'auto impediva l'apertura del portone, educatamente - ha sottolineato - sono andato a dirgli di spostare la vettura, il bimbo stava malissimo. Mi ha detto che avrebbe spostato l'auto dopo lo scarico delle merci». Il processo riprende il 23 maggio.