L'indagine formalmente nasce sul finire del gennaio del 2019 ossia nel momento in cui il collaboratore, coinvolto nella piazza di spaccio privernate con un ruolo secondario, si presenta al comando stazione dei Carabinieri di Priverno per denunciare una ritorsione subita da un pusher locale che gli chiede 1.500 euro per continuare a lavorare con lui. Non solo descrive l'attività illecita del pusher che gli chiede i soldi, ma inizia a descrivere la composizione della piazza di spaccio con ruoli e gerarchie, fino a maturare l'intenzione di collaborare con la giustizia che si concretizza in quei mesi. Ai magistrati della Dda di Roma il nuovo pentito descrive l'intero panorama criminale che orbita attorno a Priverno con estensione anche a Sonnino, Roccagorga, Maenza e Sezze, rivelando l'esistenza di veri e propri "capi piazza" che operano in forza di uno stabile accordo per la gestione di quelle che appaiono come reti autonome, assicurando il controllo del mercato locale degli stupefacenti potendo contare su un unico fornitore. Tra le figure apicali c'è appunto Pietro Canori.

In questo contesto, agli investigatori tornano utili le dichiarazioni degli altri collaboratori di giustizia, soprattutto Agostino Riccardo, che aveva teorizzato il ridimensionamento di canori nel narcotraffico, ereditato appunto da Fabio Nalin e Gian Luca Ciprian. Lo stesso pentito Riccardo ha dichiarato di Nalin: «Compare di Ciprian, era compare all'epoca di Alessandro Radicioli, ucciso il 30 ottobre 2012, ed è il compare di Canori. Nalin gestisce tutta la cocaina dei Monti Lepini, e arriva fino a Fondi...». Lo stesso Agostino menziona persino un legame con altri narcotrafficanti pontini, legati agli ambienti apriliani.