30.11.2023 - 09:25
«No. Guarda, non sono arrabbiato. Sono disperato, ecco perché ho fatto questo». Prima di andare via in ambulanza, l'uomo che ieri in tarda mattinata è entrato in Tribunale e ha minacciato di darsi fuoco, racconta una parte della sua vita. E' un frammento degli ultimi anni, dal 2016 ad oggi, che lo ha spinto - come ha spiegato - a compiere questo gesto: a prendere la benzina e a presentarsi al palazzo di giustizia. Ha le lacrime. Negli occhi si legge, oltre alla disperazione, anche l'attesa di sapere cosa accadrà al processo in cui ripone molte speranze.
Parla con i poliziotti che lo ascoltano, poi si gira e guarda il personale del 118 mentre è seduto. Prima di andarsene un'ultima frase: «Scusate». Partiamo dall' inizio: «Mia moglie è morta in un incidente stradale nel 2016, vicino a Priverno, in sette anni ho parlato con l'avvocato tre volte e con l'assicurazione praticamente mai, mia moglie andava piano in macchina e l'incidente non è andato come dicono. Sto ancora aspettando il risarcimento». E' un fiume in piena. «Ho girato il mondo - racconta - sono stato anche in Africa, qui stiamo peggio di quei posti». L'uomo che ieri poco dopo le 12,30 ha tenuto con il fiato sospeso dipendenti, avvocati e magistrati in Tribunale, è stato portato in Questura per tutti gli accertamenti ed è stato fermato. Si è presentato al metal detector nascondendo un piccolo contenitore di plastica «a fisarmonica» tra gli slip. E' stato un attimo. «Voglio parlare con qualcuno per l'incidente in cui è morta mia moglie», ha detto. Poi ha tirato fuori il contenitore con dentro più di un litro di benzina e lo ha versato sui capelli. Come se si stesse facendo la doccia.
La scena si è consumata al centro dell'atrio del Tribunale, ad una manciata di metri dalla Corte d'Assise e dalle scale che portano al primo piano. Il personale della vigilanza è intervenuto immediatamente, gli addetti alla sicurezza hanno mantenuto un grande sangue freddo: un vigilante ha instaurato con l'uomo un dialogo ed è stato fondamentale il primo approccio. Ha indossato i panni dello «psicologo», ha cercato di far calmare quel signore alto quasi un metro e novanta e robusto. Sono stati pochi minuti che sembravano non finire mai. Il vigilante non ha perso la calma: «Ti aiutiamo». «E io vi creo il problema», è stata la risposta dell'uomo che mentre parlava stringeva in mano un accendino e raccontava la sua storia. «Voglio parlare con qualcuno», ripeteva. In quei momenti c'era anche un dipendente del Tribunale che ha dato il suo contributo durante il dialogo. Un altro addetto alla sicurezza nel frattempo ha impugnato un estintore e un altro ancora ha chiamato la Polizia che è subito intervenuta. In pochi attimi in Tribunale l'odore di benzina è diventato sempre più forte. Anche chi era negli uffici al primo piano si è affacciato dalle scale per capire cosa stesse accadendo quando ha sentito il trambusto. «Me devono sentì», ha ripetuto l'uomo. Il palazzo di giustizia è stato chiuso in quei momenti. Gli agenti della Squadra Volante insieme al personale della Squadra Mobile e alla Digos, hanno fatto allontanare dalla zona dipendenti, avvocati e le poche persone che ieri erano nell'ufficio giudiziario. Hanno poi immobilizzato l'uomo che aveva in mano una copia del giornale di quando avvenne l'incidente stradale. «Ma come è possibile che non ho ottenuto giustizia e siamo qui...», ripeteva.
La causa civile a quanto pare va avanti da diversi anni, la prossima udienza è fissata tra pochi giorni, a dicembre. Del caso è stata informata la presidente del Tribunale Caterina Chiaravalloti. Ieri fortunatamente è stato evitato il peggio. La grande tensione, con il passare dei minuti, quando l'uomo si è calmato, è svanita.
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