L'analisi
30.09.2025 - 17:00
La nuova relazione sulla criminalità organizzata fotografa un Lazio ancora fortemente esposto alla pressione delle mafie. Il quadro che emerge per le province di Latina e Frosinone, e in particolare per il sud pontino, è quello di un territorio fragile, attraversato da interessi criminali che intrecciano clan autoctoni, consorterie campane e calabresi, gruppi rom e soggetti emergenti capaci di inserirsi in settori economici e istituzionali.
Il documento mette in evidenza come a Latina il panorama resti segnato dalla presenza storica dei clan Ciarelli e Di Silvio, legati alla galassia Casamonica. Proprio la famiglia Di Silvio, protagonista della “guerra criminale pontina” iniziata nel 2003 con l’autobomba che uccise Ferdinando Di Silvio, ha consolidato il suo radicamento nella città grazie alla forza intimidatoria e alla capacità di esercitare un controllo sociale diffuso. Le sentenze degli ultimi anni hanno riconosciuto l’associazione mafiosa contestata al clan, ma il sodalizio continua a proiettare la sua influenza attraverso nuove generazioni e rapporti con ambienti politici ed economici. La relazione ricorda come episodi di condizionamento del voto siano stati segnalati nelle consultazioni del 2016 a Latina e Terracina.
A Fondi e nell’area limitrofa si evidenzia invece la persistenza di un intreccio tra criminalità locale e famiglie camorriste e ‘ndranghetiste. Storico il legame con la famiglia Tripodo e la criminalità organizzata di Trani, così come le figure dei fratelli Zizzo, inseriti nel narcotraffico internazionale e in rapporti con la famiglia Senese. L’attenzione investigativa si è concentrata in particolare sulla famiglia D’Alterio, titolare di una delle principali aziende di trasporto del Mof, descritta come realtà con una chiara “vocazione imprenditoriale-mafiosa”: un gruppo capace di utilizzare metodi intimidatori per consolidare il controllo sul mercato ortofrutticolo e di mantenere rapporti con storiche famiglie camorriste.
Il sud pontino si conferma dunque crocevia di traffici di droga, estorsioni e usura, ma anche di investimenti in attività economiche apparentemente lecite. Le inchieste più recenti hanno documentato episodi gravi: dagli attentati incendiari di Fondi e Monte Argentario, ai colpi d’arma da fuoco esplosi ad Aprilia, fino alle minacce e agli attentati contro esponenti politici e imprenditori locali.
Particolarmente allarmante, sottolinea la relazione, è la capacità delle organizzazioni di infiltrarsi negli enti locali. Ad Aprilia è stata nominata una Commissione d’accesso per verificare il rischio di scioglimento per infiltrazioni mafiose, mentre in tutta la provincia si confermano episodi di pressione verso amministratori e candidati.
Un passaggio centrale del documento riguarda la famiglia Di Silvio, ancora al centro di inchieste come l’operazione “Movida” del 2020. Gli inquirenti hanno dimostrato come il clan avesse costruito un sistema di estorsioni e violenze capace di piegare commercianti e cittadini all’omertà, sfruttando il peso del nome e la fama criminale accumulata negli anni.
Dalla relazione emerge infine un appello forte: senza una vera cultura della prevenzione e un rafforzamento delle misure di controllo, la capacità delle mafie di rigenerarsi e di adattarsi ai mutamenti economici continuerà a mettere a rischio lo sviluppo sociale e democratico del Lazio.
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