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Il fatto

Da capo scout a “mostro”: così adescava i bambini

Depositate le motivazioni della sentenza che a luglio costò la condanna a 7 anni per Simone Di Pinto

Da capo scout a “mostro”: così adescava i bambini

«Le condotte poste in essere trovano fondamento nel rapporto fiduciario che lo stesso aveva instaurato con i minori nell’ambito della conoscenza che con gli stessi aveva intrattenuto in ragione del ruolo svolto all’interno del gruppo scout Terracina 3 della parrocchia di San Domenico Savio. L’imputato, inoltre, aveva piena consapevolezza delle sue condotte e delle sofferenze psicologiche causate alle giovani vittime».

E’ uno stralcio delle motivazioni della sentenza di primo grado depositate da Angela Gerardi, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Roma - competente in materia di reati con vittime di minore età - che a luglio scorso ha condannato il 20enne assistente capo scout Simone Di Pinto a 7 anni di reclusione, e a 26mila euro di multa, per pornografia minorile, stalking, estorsione, violenza sessuale e pornografia virtuale. La richiesta di condanna del pubblico ministero Vittorio Bonfanti era stata di 8 anni di reclusione più 60mila euro di multa. Di Pinto, secondo la sentenza, «ha strumentalizzato il ruolo occupato all’interno del gruppo scout proprio con modalità predatorie, scegliendo soggetti piccoli, quindi più indifesi per fragilità dovuta all’età e alla inesperienza, così tradendo la posizione di garanzia nei loro confronti per soddisfare le proprie esigenze sessuali».

Di Pinto è stato condannato anche a risarcire i quattro minorenni parti offese - due di 16 anni, uno di 12 e uno di 10 -, difesi dall’avvocato Pasquale Lattari, con 5mila euro ciascuno e con 2mila euro le diverse associazioni che si sono costituite parti civili. Per lui, che figurava anche nel ruolo di educatore, il giudice ha disposto il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dai minori.

Le motivazioni della sentenza ripercorrono tutte le fasi di una vicenda, scoperta dall’indagine della Polizia Postale di Latina dopo la denuncia di alcuni genitori, durata circa due anni (tra il 2023 e il 2024) e che ha visto le vittime costrette a un «calvario psicologico e fisico, scandito dai toni sempre più espliciti - si legge -, incalzanti e poi intimidatori impiegati dall’imputato dietro la falsa identità di Aurora».

Per il giudice «emerge lo sfruttamento sessuale mediante l’induzione degli stessi alla produzione di rappresentazioni fotografiche a carattere pornografico, avvalendosi di una falsa identità e profittando del rapporto di fiducia esistente».
Nella sentenza viene sottolineato che le condotte del capo scout sono state, di fatto, ossessive, minacciose, pressanti e moleste.

Tutto ha avuto origine da un ricatto tramite social media che ha coinvolto due dei minorenni, manipolati attraverso un profilo fasullo su Instagram. L’allora 19enne assistente capo scout, secondo l’accusa, ha agito dietro le quinte, utilizzando un profilo falso per spacciarsi come la 17enne “Aurora” e chiedendo immagini compromettenti ai giovani, per poi minacciarli di diffonderle se non avessero pagato una somma in denaro.

L’intervento della Polizia Postale portò, a luglio 2024, al sequestro dei dispositivi e all’avvio della minuziosa indagine. Gli inquirenti trovarono sul cellulare di Di Pinto 292 filmati a carattere pedopornografico. L’accusa più grave resta quella della violenza sessuale aggravata ai danni del bambino di 10 anni, all’epoca degli abusi di appena 9 anni. Siamo a giugno 2024: il capo scout, che svolgeva il ruolo di aiuto capo dei Lupetti, avrebbe invitato il bambino a fermarsi con lui nei locali della parrocchia; rimasti soli Di Pinto, con la scusa di aggiustargli i pantaloni, avrebbe infilato le mani negli slip del bambino palpeggiandogli i genitali.

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