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Il fatto

Condannati Gianni Di Silvio e la moglie

Definitiva la pena a un anno e otto mesi per tentata estorsione: pretendevano 15.000 euro da un commerciante

Condannati Gianni Di Silvio e la moglie

A distanza di nove anni circa dai loro arresti, sono definitive le condanne alla pena di un anno e otto mesi di reclusione per Ferdinando Di Silvio detto Gianni Zagaglia e sua moglie Laura De Rosa, rispettivamente 50 e 55 anni, per il reato di tentata estorsione pluriaggravata ai danni di un commerciante italo marocchino al quale avevano chiesto 15.000 euro dopo avergliene prestati 4.000, una vicenda emersa mentre i due erano intercettati nell’ambito di un’inchiesta antidroga, poi confermata dalla vittima. La Suprema Corte di Cassazione infatti ha dichiarato inammissibili i loro ricorsi, confermando la pronuncia con cui la Corte d’Appello, nel mese di maggio, aveva confermato la sentenza del Tribunale di Latina del luglio dello scorso anno. Nel frattempo però Gianni Zagaglia è finito in carcere per effetto di due inchieste: l’ultima per spaccio di droga e per avere coperto la relazione del figlio con una minorenne, quella precedente sempre per tentata estorsione, ma aggravata dal metodo mafioso, un sistema mutuato dal fratello Armando “Lallà” condannato in via definitiva per avere creato e gestito un sodalizio capace di esprimere i metodi tipici delle mafie. La vicenda era relativa al tentativo di liberare una casa venduta all’asta, convincendo l’acquirente a restituirla ai vecchi proprietari, la cognata e la moglie di un detenuto legato alla camorra.

Ferdinando Di Silvio e la moglie Laura, che erano riusciti a risparmiarsi la condanna per usura, il primo per non avere commesso il fatto, la donna per intervenuta prescrizione, puntavano a smontare la sentenza di secondo grado con una serie di motivi, ad esempio ridimensionando il tenore delle minacce pronunciate alla vittima, sulla base della sua testimonianza in aula. Oltretutto hanno cercato di relegare la vicenda a una questione civilistica, motivando il prestito come un finanziamento dell’attività commerciale della parte offesa, che quindi avrebbe dovuto restituire loro il denaro con una partecipazione degli utili.

I giudici della Corte di Cassazione al contrario hanno ritenuto ben motivata la sentenza impugnata, e hanno ravvisato le minacce, comprovate anche dalle intercettazioni telefoniche dell’epoca. La coppia aveva infatti minacciato sia il commerciante che i familiari, paventando la possibilità che avrebbero fatto togliere loro la casa popolare, oltre a pronunciare frasi eloquenti come «portaci sti soldi sennò qua non va bene. Non andrà mai bene ci devi dare sti soldi», altrimenti «andiamo a finire male».
Inoltre Gianni Zagaglia, nel ricorso, lamentava l’erronea e mancata motivazione, comunque manifestamente illogica, contraddittoria ed apparente, per essersi visto rigettare la possibilità di sostituire la pena detentiva con un lavoro di pubblica utilità o con la detenzione domiciliare, perché gravato da una precedente condanna per associazione a delinquere e danneggiamento seguito da incendio, ritenendo che quel precedente non fosse attuale, riferibile ai fatti del 2010 nell’ambito della sequenza di vendette di quel periodo, quindi distante 15 anni dalla recente condanna. Invece la Suprema Corte ha ritenuto che la Corte d’Appello abbia ben motivato la decisione, avendo valutato che Ferdinando Di Silvio fosse in quel momento detenuto nell’ambito di uno dei recenti procedimenti e fosse comunque confermata da parte sua una capacità delinquenziale «notevole». Oltretutto, nel frattempo, ha acquisito una forza criminale tale che ha portato gli inquirenti a ritenere mafioso il suo modo di imporsi nel tentativo di condizionare le scelte delle sue vittime.

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