Cronaca
12.12.2025 - 17:32
È morto Francesco Valeriano, 45 anni, cameriere originario di Formia, detenuto nel carcere di Rebibbia dove, lo scorso giugno, era stato trovato in condizioni disperate all’interno della cella in cui si trovava recluso. L’uomo presentava lesioni diffuse su tutto il corpo e fin da subito si era parlato di un possibile pestaggio, circostanza sulla quale sono tuttora in corso le indagini.
Valeriano era arrivato nell’istituto penitenziario romano dopo un periodo di detenzione nel carcere di Cassino. Le sue condizioni erano apparse gravissime sin dai primi soccorsi, tanto da rendere necessario il trasferimento immediato in diverse strutture sanitarie. Dopo settimane di cure e un iniziale percorso di riabilitazione, il 45enne sembrava mostrare segnali di miglioramento, alimentando la speranza di una ripresa. Nelle scorse ore, però, il quadro clinico è improvvisamente precipitato fino al decesso.
Sulla vicenda la magistratura mantiene il massimo riserbo. Secondo quanto emerso nelle prime fasi dell’inchiesta, sarebbe stata già effettuata una prima identificazione delle persone che si trovavano nella cella con Valeriano la sera in cui sarebbe avvenuta l’aggressione. Restano ora da chiarire dinamica, responsabilità ed eventuali omissioni.
Francesco Valeriano viveva con la famiglia in via Cassio, a Formia, dove la notizia della sua morte ha suscitato sgomento e dolore. L’uomo era detenuto con l’accusa di maltrattamenti. La sua scomparsa riaccende l’attenzione sulle condizioni di sicurezza all’interno degli istituti penitenziari e sulle tutele per le persone private della libertà personale.
La nota dell'OSAPP
L' Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria scrive: "Morte di Francesco Valeriano, pestato in carcere a Rebibbia: per l’OSAPP una sconfitta dello Stato: la vita di un detenuto non può spegnersi ancora una volta nel silenzio. Il Segretario Generale OSAPP, Leo Beneduci ha così commentato il triste epilogo: «La morte di Francesco Valeriano è, prima di tutto, la perdita di una vita umana sotto la custodia dello Stato. Questo è un fatto che ci deve interrogare tutti, al di là delle posizioni e dei ruoli. Come OSAPP, nel ribadire che le nostre colleghe e i nostri colleghi non possono essere trasformati nei parafulmini di un sistema che non funziona, non accettiamo che un detenuto entri in carcere per scontare una pena e ne esca solo in una bara, dopo mesi di agonia seguiti ad un’aggressione brutale. Chiediamo verità completa e responsabilità chiare su quanto accaduto a Rebibbia e lo facciamo nel rispetto del dolore dei familiari, ai quali esprimiamo la nostra vicinanza sincera e il nostro cordoglio.
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