Immaginate oltre cinquecento ragazzi riuniti in un Palasport: alcuni seduti sugli spalti, altri sul parquet. Poi, all'improvviso, ecco un boato e un fragoroso applauso durato oltre trenta secondi. A entrare in campo, però, non c'erano Kobe Bryant o Ivan Zaytsev - due "mostri sacri" del basket e del volley -, ma un uomo che ha fatto della lotta alla mafia la sua ragione di vita, umana e professionale: il giudice Giuseppe Ayala.
Il «grazie» del preside
Ad aprire l'incontro tra l'ex magistrato e parlamentare con gli studenti dell'Istituto di Istruzione Superiore "Largo Brodolini" di Pomezia - all'interno del Palalavinium - è stato il dirigente scolastico, professor Francesco Cornacchia. «Siamo al termine di un progetto che serve a farvi diventare dei cittadini consapevoli - ha affermato il preside, rivolgendosi ai ragazzi non prima di aver ringraziato il giudice Ayala e i carabinieri presenti - Voglio ringraziare voi ragazzi e tutti i docenti che hanno instillato nelle nostre 35 classi il seme dell'approfondimento».
La genesi del libro
Per pochi minuti, prima di iniziare a rispondere alle domande degli studenti, Ayala - che compirà 72 anni il 18 maggio - ha parlato del suo libro scritto nel 2007 e pubblicato poco tempo dopo, relativo agli anni durante i quali ha fatto parte del pool antimafia. «Avevo un po' di ritrosia a scrivere di quell'esperienza vissuta direttamente - ha esordito - Poi ho dovuto prendere atto che molti ragazzi non sapevano chi fosse Falcone: di conseguenza, visto che quell'esperienza non era più cronaca e non è ancora storia, ho deciso di raccontarla anche in iniziative come quella di oggi, per la quale ringrazio voi, il preside e i docenti. Così, ho caricato la mia moto sul treno Roma-Bolzano, sono sceso e ho raggiunto una casa in Val Badia, affittata per l'occasione. In tre settimane, alternando allo scrivere qualche passeggiata in moto con sosta al rifugio e pausa caffè più sigaretta, ho preparato il libro».
Cosa Nostra, ieri e oggi
Il primo studente intervenuto ha chiesto al magistrato le differenze fra la mafia di ieri e quella di oggi. «C'è una prima, grande differenza - ha risposto Ayala - Oggi la mafia non ammazza più. Sono 25 anni, dalle stragi del ‘92-‘93, che non ci sono più attacchi. E neanche si sono più uccisi fra loro. Credo abbiano capito il loro errore strategico, poiché l'omicidio accende i riflettori; di conseguenza, sono tornati alla clandestinità. Badate bene, però - ha aggiunto -: la guerra non è vinta. La forza di Cosa Nostra è sicuramente minore di prima e la si può combattere anche e soprattutto con le iniziative come quella di oggi, con la consapevolezza di cosa è la mafia e che quest'ultima non è solo un problema della Sicilia».
«Due uomini con le palle»
«Chi erano per lei Falcone e Borsellino?» La risposta di Ayala spiazza i ragazzi: «Non chiamateli eroi: erano due uomini con le palle. Sicuramente sono due martiri, ma ricordate: per sconfiggere la mafia non ci vogliono gli eroi, ma uomini e donne con gli attributi giusti. Persone che conoscano la paura ma non si facciano condizionare da lei.
«Giovanni? Mi manca da morire»
L'ultima domanda proposta dagli studenti è quella più commovente: «Qual è la cosa più importante della sua vita?» «Senza dubbio l'incontro con Giovanni Falcone - ha concluso Ayala - L'ho conosciuto al di fuori del Tribunale, a casa di quello che sarebbe diventato suo cognato. Eravamo diversi e lui, mi raccontavano, era affascinato dalla mia affabilità. Mi ha cambiato la vita sia quando è entrato in lei che quando, purtroppo, ne è uscito. Da 25 anni sono incazzato, non ho pace: Giovanni mi manca da morire. Sono figlio unico, ma ritengo di essere legato a lui quasi come a un fratello».