Ad un certo punto Francesca Zorzo ha capito che stava sbagliando. E lo dice. Accade a febbraio, un mese prima della scoperta. il 16 si presenta nell'ufficio dello Stato Civile per capire come avviene la registrazione, i funzionari fissano un appuntamento per il 21 febbraio ma poi come spiega la stessa Zorzo quando viene ascoltata dalla polizia «Mi ero resa conto di aver commesso un errore» e a ha riconsegnato la neonata a Nicoleta. E' questa la sua ricostruzione e l'appuntamento era in un parcheggio a Latina. La conoscenza tra la Zorzo e la Tanase avviene poco prima di Natale, sostiene una delle due indagate, ed è la stessa Nicoleta che fa la proposta alla Zorzo. Dopo l'aborto avvenuto qualche tempo prima, la donna non ha detto niente a nessuno e ha simulato di essere in stato di gravidanza. La mamma naturale della piccina ha sostenuto invece di essere stata costretta da Berrazzouk Youssef a cedere la neonata e che l'uomo avrebbe ricevuto una parte per la mediazione e per il suo intervento. Secondo quanto ipotizzano gli investigatori, la desistenza della Zorzo nel procedere alla registrazione della piccola, sostituendosi così alla madre, scaturiva «non da un ravvedimento dettato dalla morale - osserva il pm Gregorio Capasso - ma dal timore di ritorsioni e minacce dalla Tanase che ancora non aveva ricevuto il denaro promesso». Nell'inchiesta è finita anche la deposizione della mamma di Francesca Zorzo che apprende al telefono che la figlia aveva partorito e che era andato tutto bene. E' in quell'occasione che la mamma si arrabbia con la figlia che aveva fatto tutto da sola ed è in un secondo momento e le dice la verità. E' la Zorzo che confessa alla mamma che non sapeva come uscire da questa situazione ed è poi la mamma dell'indagata ad andare in Comune e a parlare con un impiegato e una collega a cui racconta tutto dicendo che la figlia non si era presentata per la registrazione perchè non aveva mai partorito e che aveva preso la bambina da un'altra donna alla quale l'aveva restituita. Poi la denuncia in Procura, le indagini e le intercettazioni. Il reato contestato nei confronti degli indagati è quello di alterazione di stato che prevede dai cinque ai quindici anni di reclusione e riguarda l'alterazione dei documenti dello stato civile. Dalle indagini è emersa la piena partecipazione della Tanase a tutta l'attività insieme proprio a Berrazzouk.

Da Latina Oggi del 29/04/2017