La droga acquistata deve essere pagata. E anche per tempo. Le regole dei pusher sono rigide e non ammettono sgarri. Non importa come, ma gli acquirenti devono saldare i debiti. Che rubino, diano in pegno anelli o auto, vadano a chiedere finanziamenti, pure con documentazione falsa. Purché portino i soldi.  Sono alcuni dettagli che emergono dall'inchiesta sfociata nell'operazione "Giove", che ha portato all'arresto di 18 persone. Le intercettazioni, ambientali e non, per gli investigatori non lasciano molto spazio alle interpretazioni. Uno degli indagati - si legge nell'ordinanza firmata dal gip Mara Mattioli - «interviene minacciosamente laddove vi siano ritardi nei pagamenti della droga fornita ai "pusher", ovvero ai suoi diretti clienti, appropriandosi di loro beni a saldo dei debiti, ovvero inducendoli a contrarre finanziamenti esibendo falsa documentazione».  È il 26 gennaio 2016 quando uno degli arrestati incontra un acquirente. Non paga da due mesi. Il messaggio è chiaro e il tenore, come riassunto nelle intercettazioni, è grossomodo questo: «Adesso non ti picchio perché sei con tua madre, ma stasera fatti vedere perché sennò ti vengo a prendere a casa». Passano tre giorni e si arriva a un'aggressione fisica. Il "debitore" cerca di giustificarsi, ma l'altra persona non vuole sentire ragioni: «Mi devi portare i soldi».  Ci sono casi, come accennato, in cui avviene una sorta di "baratto". Preziosi in cambio di droga, auto sottratte per ripianare i debiti.
Qualche giorno prima dei fatti già descritti, ossia l'11 gennaio 2016, un "pusher", lo stesso di cui si diceva prima, si incontra con un altro cliente. Anche questo gli deve dei soldi e consegna al suo fornitore un anello come pegno: in cambio ottiene cinque dosi di cocaina.

L'articolo completo in edicola con Latina Oggi (mercoledì 18 settembre)