Hanno poco più di venti anni, il berretto verde calato sul viso, la divisa e i guanti sporchi di terra, la solida dignità di chi sul volto sembra portare un peso più grande di quanto non dica l'età anagrafica. E' già nello sguardo e nel modo di parlare che raccontano un'altra storia, opposta a quelle che a volte soffiano consapevolmente sul fuoco dell'intolleranza: sono i rifugiati ospiti del centro di accoglienza straordinaria gestito dall'Astrolabio che da fine ottobre, sulla scorta del protocollo di intesa firmato in Prefettura dal Comune di Latina per definire nuovi percorsi di integrazione, stanno conducendo un tirocinio formativo che riguarda la manutenzione del verde nel centro della città. I nove ragazzi, tra i 19 e i 30 anni, guidati da un tutor, si occupano di annaffiare, rimuovere rifiuti e cicche di sigarette dalle strade separando i materiali raccolti, rinvasare fiori e piante, curare il decoro di Piazza del Popolo, Corso della Repubblica, Piazza San Marco e Palazzo M. Lavorano quasi in punta di piedi accanto alla Latina frettolosa e distratta che scorre accanto a loro, un messaggio forte e visibile di come accanto alla narrazione isolata di una immigrazione che protesta e non si integra (il caso recente di Casal delle Palme) ne esista un'altra che parla il linguaggio del lavoro (gratuito e volontario), dell'accoglienza, del tentativo di essere accettati. Barry viene dalla Guinea Bissau, è venuto in Italia quindici mesi fa scappando dalla guerra razziale tra la sua etnia Fulas e quella dei Malik ("ho avuto paura e me ne sono andato – dice in inglese – tante erano le violenze sulla popolazione. Ho scelto l'Italia perché era il mio sogno, ho viaggiato mesi nel deserto, il viaggio è stata la parte più dolorosa e difficile"). Barry non ha nessuno mentre accanto a lui parla in un francese fluente Godwin che viene da un villaggio della Nigeria, lì dove ha lasciato la madre. Parla della povertà che ha vissuto e di come si sia mosso per cercare una via di fuga allo sfruttamento e agli stenti. "Vorrei una famiglia mia e una opportunità, non lo faccio per il denaro". Sono stati tra i primi ad aderire al progetto ma raccontare la loro integrazione non è semplice. Hanno fatto un salto nel vuoto confidando in solidarietà e accoglienza senza frontiere, aldilà di gruppi sociali, barriere linguistiche e bandiere nazionali. Un quotidiano di diffidenza e anche dure provocazioni ma "non ci aspettavamo di piacere a tutti"– spiega Godwin mentre Barry aggiunge che è grato all'Italia e alla città di Latina per questa chance E' la gratitudine e il rispetto che prevalgono perché quando chiediamo come si immaginano tra alcuni anni Barry risponde: "Vorrei trovare un lavoro e contribuire a ripianare quel debito che ho verso l'Italia" mentre Godwin spiega che ritiene normali la saltuaria diffidenza anche se a prevalere sono stati i gesti di accoglienza della cooperativa e della cittadinanza. Infine Latina, lo sguardo dell'altro che coglie ciò che spesso sfugge anche a chi crede di conoscerla davvero. Se a Godwin piace l'immancabile mare Barry spiega:"Mi piace quello che vedo, camminando per la città. Latina a volte è silenziosa, mi piace camminarci per osservare tutto, è così diversa dal rumore dei posti da cui provengo". Non c'è il frastuono dei conflitti e delle fughe, solo il torpore di strade grandi. Non si può tornare indietro, ma si può andare avanti. Anche a Latina.