Lo hanno chiamato «teste alfa» per proteggere la sua identità ed è il tecnico che ha sollevato il velo sul luogo in cui sarebbero stati effettivamente interrati i fusti tossici, ossia negli invasi S1, S2,S3 e B2 anziché in S0 dove, inutilmente, sono stati effettuati gli scavi nel 2012. L'ultima, indigesta, verità sulla discarica di Borgo Montello è contenuta nella relazione approvata ieri all'unanimità dalla Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti nel Lazio e nella quale emergono almeno due elementi molto gravi. Il primo riguarda la presenza e il controllo (almeno per un certo periodo di tempo) delle attività di sversamento, il secondo è riferito alle coperture politiche che hanno consentito di evitare una seria attività di indagine su quello che succedeva in via Monfalcone. E' un'inchiesta della squadra mobile fatta nel 2013 che restituisce credibilità a concordanti dichiarazioni del pentito Carmine Schiavone, del comitato civico della zona e di molti ambientalisti. L'allora capo della Mobile, Tommaso Niglio, come risulta dagli atti parlamentari, andò a riprendere atti del 1994 e rintracciò alcune persone che avevano lavorato nella discarica negli anni in cui già si era ipotizzato uno sversamento di rifiuti speciali e tossici al di fuori delle autorizzazioni; si tratta di circa 300-400 fusti al giorno. Ma dove sono andati a finire quei fusti e cosa è accaduto dopo? A questo proposito risultano utili le dichiarazioni rese da Dino Chiarucci, responsabile Arpa per Latina e riportate negli atti d'inchiesta: «... fattori d'inquinamento diretto sono piombo, cadmio, cromo e nichel e possono derivare da rifiuti depositati ma non sono in grado di riferire la tipologia di rifiuto da cui possa derivare... non c'è stata mai un'indagine sul tipo di rifiuti che vi hanno portato». Chiarucci ha anche parlato della discarica B2 , «nata per rifiuti speciali». E' stato altresì chiarito da questa indagine parlamentare che il clan dei Casalesi, da sempre ritenuto egemone nella gestione del traffico dei rifiuti tossici, avesse installato un suo presidio a Latina: «... il clan disponeva (attraverso alcuni soggetti) di proprietà importanti proprio a ridosso della discarica...)». I terreni appartenevano a Michele Coppola, parente di Carmine Schiavone, il pentito che già nel ‘96 aveva raccontato dello stoccaggio di fusti a Montello sotto il controllo di Antonio Salzillo, detto Capocchione, uomo del clan ucciso ad aprile del 2009 in provincia di Caserta. L'inchiesta della mobile di Latina fondata sulle nuove testimonianze dei tecnici alfa, beta e gamma (uno dei quali tuttora opera nel settore) è stata archiviata dalla Procura di Latina ma ne restano gli atti ora allegati alla relazione con la secretazione dei nomi dei testimoni a tutela della loro incolumità. Il 12 settembre del 2013 la squadra mobile di Latina ha scritto una informativa basata su «notizia confidenziale» e fu quello il via alle nuove indagini. Ecco cosa contiene: «....si apprendeva riservatamente che negli anni tra il 1987 e il 1993 presso la discarica comunale di Borgo Montello erano stati interrati numerosi fusti in metallo di cui però non si sapeva indicare il colore, contenenti materiali altamente inquinanti e nocivi per la salute pubblica, provenienti da aziende chimiche del nord Italia e trasportati con furgoni e camioncini...Per evitare i controlli delle forze di polizia percorrevano strade diverse da quelle ordinarie». In questa stessa informativa la squadra mobile «smonta» i carotaggi su S0 e svela che erano stati fatti nel punto sbagliato.
Borgo Montello, un teste rivela: i rifiuti tossici interrati nella discarica
Latina - Non sarebbero però come sospettato fino a qualche tempo fa nella S0, ma nelle altre S1, S2, S3 e B2