Nemmeno un fiato, nessuna reazione alla notizia del fallimento della spa Terme di Fogliano. Ma anche nessuna meraviglia per tutto questo silenzio: tutte le forze politiche e tutte le amministrazioni che si sono succedute alla guida della città dagli anni ‘60 ad oggi sono responsabili di questo funerale che si consuma sui terreni di Capoportiere e congeda la città dall'ultima illusione rimasta per intravedere un futuro meno grigio di quello che immaginiamo. Sessant'anni di chiacchiere inutili e un paio di tentativi importanti, abortiti entrambi per giochi politici.
Il primo era stato quello del sindaco Delio Redi, che dopo aver portato a casa un finanziamento regionale di 24 miliardi di lire, era riuscito a stipulare una convenzione con la società Condotte di Roma: l'impresa avrebbe costruito impianti e alberghi, avrebbe gestito le Terme per trent'anni e poi si sarebbe fatta da parte lasciando al Comune la proprietà e la facoltà di decidere il da farsi. Un'anticipazione nemmeno tanto rudimentale di quella che sarebbe poi diventata una moda, il project financing. Era il 1989, e il lanciatissimo Redi, che di lì a poco sarebbe diventato senatore, prometteva di mettere a segno uno dei colpi politico amministrativi più importanti nella storia della città. Troppo per l'emergente Partito socialista di allora, che rappresentato a Latina dal senatore Maurizio Calvi era riuscito a stoppare la concessione del finanziamento da parte della Regione Lazio a conduzione Psi e a tenere tutto bloccato fino a quando la rivoluzione di «mani pulite» non aveva fatto sentire i propri effetti anche sul territorio pontino, fino a spazzare via la Democrazia Cristiana e tutti i suoi sogni di gloria.
Sarebbe stato Ajmone Finestra, nel 1994, a ripescare il progetto delle Terme di Fogliano, cominciando dalla escavazione di due nuove pozzi a Capoportiere. I lavori erano stati affidati a Condotte, con l'idea di rimettere in gioco la convenzione di Redi e costruire finalmente gli impianti termali. Ma anche stavolta qualcosa non è andato per il giusto verso, forse perchè l'allora City manager Roberto Tana aveva mirato più in alto. Niente terme, meglio un Parco tematico. Ma non hanno fatto in tempo, perché alla vigilia della scadenza del secondo mandato dell'amministrazione Finestra l'erede naturale del «federale», Vincenzo Zaccheo, era riuscito a sventare l'iniziativa al grido «Vogliamo le terme». Ma nemmeno lui ce l'ha fatta. Anzi, la sua è stata l'amministrazione protagonista dello scandalo del decreto ingiuntivo sparito dai tavoli del Comune e diventato esecutivo, un giallo ben architettato che ha finito per decretare la fine dell'avventura più inseguita della città.
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