Qualcuno degli indagati era «stabilmente asservito» agli interessi dei privati, qualche altro «stabilmente remunerato»: il giudice della Commissione Tributaria provinciale Enzo De Meo era tutte e due le cose insieme, asservito e remunerato. Per il giudice per le indagini preliminari Mara Mattioli che ha firmato l'ordinanza di custodia cautelare, Enzo De Meo «ha fatto mercimonio della sua funzione dietro corresponsione di somme di denaro e l'ottenimento di favori, tra cui l'assunzione della nuora e di altri soggetti a lui vicini».
In cambio di un paio di sentenze relative a procedimenti riguardanti la medesima azienda, una società di costruzioni, il giudice De Meo, relatore, avrebbe intascato la somma di tremila euro per essere riuscito a far accogliere un ricorso contro un avviso di accertamento, e a far accogliere parzialmente un secondo ricorso, consentendo così di ridurre il coefficiente di redditività dal 26% allo 0,58%, con conseguente abbattimento dell'imponibile ai fini dell'imposta Ires. L'impresa beneficiaria di quel trattamento di riguardo ha risparmiato 78.000 euro.
Ma De Meo non si è accontentato di quei tremila euro, perché il giudice ha preteso dal suo corruttore Salvatore Martano, il difensore in giudizio della società ricorrente, anche l'assunzione della nuora presso una società di cui lo stesso Martano era consulente. E come si evince da un'intercettazione riportata dall'ordinanza di custodia cautelare, De Meo era già riuscito, grazie ai suoi servizi illeciti, ad ottenere l'assunzione di un'altra ragazza.
Ma come poteva il giudice dirottare gli esiti delle sentenze senza incontrare ostacoli o destare sospetti?
Dalla sua De Meo aveva la compiacenza dell'avvocato che assisteva l'Agenzia delle Entrate nei procedimenti in Commissione Tributaria contro gli avvisi di accertamento ed altre determinazioni delle Entrate.
Ma quale poteva essere il vantaggio dell'avvocato Tiziana Maiolino per l'infedeltà professionale con cui accettava supinamente le sentenze della Commissione? La professionista è la compagna di Andrea Nicastro, funzionario dell'Agenzia delle Entrate già in carcere per associazione per delinquere nell'ambito dell'inchiesta Super Job, il «gancio» vero di Salvatore Martano all'interno dell'Agenzia delle Entrate, colui che era in grado di anticipare i contenuti degli accertamenti svolti all'ufficio, di produrre copie dei documenti già predisposti, di avvisare i destinatari di ispezioni o controlli fiscali. Il tutto in cambio di pochi spicci, cioè somme che variavano dai 50 ai 100 euro, a volte 200 euro e soltanto in casi davvero limite anche 500 euro. Ma era una pratica quotidiana, una continuazione, uno stillicidio di richieste cui i referenti di questa o quell'azienda si sottoponevano di buon grado pur di ottenere vantaggi molto superiori in termini economici.
Di Andrea Nicastro, i corruttori che gli versavano continuamente somme di denaro non parlano benissimo: «...un canaccio - lo definiscono - ...questo prima vuole sempre i soldi».
E sempre dall'ordinanza si desume agevolmente anche dove finissero i soldi della corruzione intascati da Nicastro: prevalentemente nell'acquisto di cocaina. Tanto da indurre la compagna Tiziana Maiolino a sbottare quando lo sorprende ancora una volta alterato: «...cocainomane di merda».