La Corte di Cassazione, presidente Giuseppe Napoletano, relatore Alfonsina De Felice, ha sciolto la riserva e si è pronunciata sul ricorso presentato da due dipendenti della Asl che hanno citato in giudizio l'azienda. I due ricorrenti chiedevano il danno morale subito a causa della grandissima mole di lavoro che hanno dovuto fronteggiare in servizio e poi anche un ulteriore riconoscimento ad una percentuale di invalidità che era stata riconosciuta in Corte d'Appello. Alla fine il ricorso è stato rigettato e nelle motivazioni che sono state depositate, i giudici della Suprema Corte hanno ricostruito i fatti, partendo prima di tutto dalla sentenza sul fronte civile -lavoro, emessa dalla Corte d'Appello di Roma che aveva accolto la pretesa risarcitoria per la violazione dell'obbligo di protezione «in merito all'utilizzazione delle prestazioni dei sanitari nei servizi turni di disponibilità oltre il limite contrattuale», hanno riportato i magistrati nel dispositivo. Sulla scorta anche delle risultanze che erano arrivate da una consulenza tecnica, alla fine del processo ai due lavoratori era stata diagnosticata una sindrome ansioso-depressiva e inoltre era stato riconosciuto il risarcimento per danno biologico.  Alla fine la Corte d'Appello aveva quantificato nei confronti dei lavoratori una invalidità complessiva dell'8% ma aveva rigettato la domanda di riconoscimento di un tasso superiore per una invalidità parziale procurata in fase acuta. I due dipendenti dell'azienda dopo che erano state depositate le motivazioni, hanno presentato un ricorso anche davanti ai giudici della Suprema Corte che ha respinto il ricorso dei due dipendenti che chiedevano anche il riconoscimento del danno morale ed esistenziale.