La sentenza della Corte d'Appello che ha confermato l'illegittimità del licenziamento dell'ex comandante della polizia municipale di Sperlonga è stata annullata e ora del caso, motivando sulle varie osservazioni della Cassazione, dovranno essere nuovamente i giudici di secondo grado. Un ulteriore tassello che va ad aggiungersi a un complesso contenzioso che si trascina da anni, che ha avuto anche risvolti penali, tanto da portare alla sospensione bis da presidente della Provincia dell'attuale sindaco Armando Cusani. Anche su questo fronte, come comunicato qualche settimana fa dall'avvocato Corrado de Simone, è intervenuta la Cassazione assolvendo gli imputati.
La pronuncia resa ora dai giudici di legittimità riguarda il licenziamento in sé e difatti il caso è stato vagliato dalla sezione Lavoro. In primo e in secondo grado a spuntarla è stato l'ex comandante della Municipale. I giudici hanno sentenziato l'illegittimità del licenziamento da parte del Comune di Sperlonga, arrivato nel 2004 dopo due provvedimenti disciplinari irrogati per avere disatteso delle direttive del segretario comunale. Per la Corte d'Appello si trattava di ordini «illegittimi» poiché – sintetizza la Cassazione - «basati su un potere estraneo a quello proprio del responsabile del servizio di polizia municipale».
Contro la sentenza di secondo grado il Comune di Sperlonga, assistito dall'avvocato Corrado de Simone, ha promosso ricorso per cassazione. Sei i motivi addotti e i primi tre hanno trovato accoglimento. «La sentenza impugnata – si legge nella sentenza – ha accolto la domanda impugnativa del licenziamento per ragioni diverse da quelle esaminate dal giudice di primo grado, che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento in quanto sanzione eccessiva e sproporzionata rispetto alla gravità effettiva dei fatti. La Corte di appello ha invece ritenuto il licenziamento affetto da nullità, perché intimato per "causa di matrimonio". La pubblicazione di matrimonio – motivano i giudici – era arrivata nelle more del procedimento disciplinare già avviato e in corso a quella data». Per quanto riguarda gli ordini "disattesi", invece, per la Cassazione la Corte d'appello ha invertito il principio secondo cui costituisce onere del lavoratore spiegare le ragioni per cui li abbia disattesi. «Non risulta infatti dalla sentenza impugnata che fosse stato richiesto alla dipendente di porre in essere fatti costituenti reato o comunque comportamenti contrari ai doveri di diligenza e fedeltà per l'amministrazione».
Sentenza annullata con rinvio e ora dovrà pronunciarsi nuovamente la Corte di appello di Roma, ma in diversa composizione.