Era accusato di peculato. Ma non un peculato come tanti altri, questa volta era diverso: in famiglia e in teoria poteva essere contestata la minorata difesa. Da una parte un padre che aveva avuto un ictus e dall'altra il figlio, accusato di aver incassato un assegno che in realtà era del genitore. «In qualità di amministratore di sostegno del papà, nominato nel settembre del 2013 e quindi quale pubblico ufficiale, si era appropriato di un assegno bancario di cui aveva la disponibilità». E' questa l'accusa che era stata rivolta ad un uomo del capoluogo pontino di 50 anni, indagato a piede libero dalla Procura per il reato 314 previsto dal codice penale, per dei fatti avvenuti a Latina nel 2014. Il papà era stato male e aveva avuto un ictus e a quel punto il figlio era stato nominato amministratore per tutelare i suoi interessi.  Al centro della vicenda c'è un assegno che ammonta a circa 500 euro e che era stato dichiarato smarrito nel 2008, destinato al papà dell'imputato ma utilizzato in un secondo dal figlio che nel frattempo era stato nominato tutore. In Tribunale davanti al Collegio Penale presieduto dal giudice Francesco Valentini, alla fine la vicenda si è conclusa e l'imputato, difeso dall'avvocato Giovanni Codastefano è uscito definitivamente di scena da questa vicenda.  Al termine della camera di consiglio infatti i giudici hanno ritenuto non punibile, ai sensi dell'articolo 649 del codice penale, come nel caso che è stato discusso venerdì scorso.