Ha descritto gli affari illeciti dell'ultimo decennio ricostruendo le dinamiche più interne alla malavita latinense. Ha indicato i ruoli dei protagonisti e le diverse fazioni rivelando alleanze e attriti, compresi i retroscena dei fatti più cruenti che hanno condizionato le sorti della storia criminale del capoluogo, come gli omicidi rimasti casi irrisolti. Tra le carte dell'inchiesta "Alba Pontina" spuntano nuovi verbali degli interrogatori sostenuti dal pentito Renato Pugliese. Inizia a trasparire la portata delle rivelazioni offerte dopo la sua decisione di collaborare con la giustizia, mentre all'orizzonte si intravede una nuova stagione per la
«Sono in grado di fornire informazioni sul mandante dell'omicidio di mio zio Ferdinando Di Silvio avvenuto nel 2003; sull'omicidio Buonamano posso dire che certamente era presente Costantino Di Silvio, mio cugino (già condannato, ndr). Posso poi fornire i dettagli dell'omicidio di Massimiliano Moro, posso indicarne i nomi dell'esecutore e di quattro delle sei persone presenti perché riferitemi da Giuseppe Pasquale Di Silvio, mio cugino, e per quanto appreso in occasione di un incontro con Simone Grenga. Posso poi fornire il nome del mandante della gambizzazione di Marco Urbani (il tabaccaio di via dei Mille, ndr)». Questo è solo l'antipasto di quello che Pugliese ha dichiarato ai magistrati dell'Antimafia, frasi estrapolate da uno dei verbali utilizzati per attingere informazioni sul clan sgominato con gli arresti di due settimane fa.
Non aveva ancora compiuto sedici anni Renato Pugliese la mattina del 9 luglio 2003, vale a dire quando Ferdinando Di Silvio detto "il bello" morì a due passi da Capoportiere, vittima dell'attentato esplosivo confezionato piazzando, sotto il sedile di guida della sua auto, una carica di tritolo attivata con un congegno a distanza. All'epoca non aveva quindi un ruolo di primo piano nella malavita, ma il giovane passato ora dalla parte della giustizia è cresciuto e si è fatto le ossa, nel sottobosco della criminalità, proprio negli anni in cui si sono vissuti gli effetti di quell'omicidio, all'ombra di personaggi che avevano vissuto in prima persona certe dinamiche.
Le indagini sull'autobomba non sono mai approdate in un'aula di Tribunale, ma se i nomi dei responsabili non sono rimasti altro che sospetti per gli inquirenti, negli ambienti della criminalità hanno continuato a riecheggiare col rispetto che un'azione del genere ambiva ad affermare, specie il nome del mandante. Del resto la portata dell'attentato soffocò sul nascere la reazione dei Di Silvio, che hanno continuato a covare la loro vendetta, come ha rivelato lo stesso Pugliese. Facendo riferimento a una circostanza omessa dagli inquirenti per questioni investigative, il pentito racconta di quando, parlando con Armando Lallà «domandai perché nessuno aveva fatto nulla nonostante l'uccisione di Ferdinando all'epoca. Armando e Ferdinando Pupetto mi hanno detto che nel 2010 cercarono il mandante per ucciderlo e lui si nascose» spiega appunto Renato.
La stessa sete di vendetta ha alimentato nel 2010 lo scontro tra fazioni, innescando quella che ancora oggi viene ricordata come la guerra criminale. In quel periodo Pugliese era detenuto, ma non ha perso l'occasione di raccogliere informazioni negli anni successivi, soprattutto sul caso dell'omicidio di Massimiliano Moro, personaggio al quale era molto legato. Anche in questo caso, i sospetti sono sempre rimasti tali.