E' cominciato ieri il percorso più difficile per le commesse spiate nei negozi di una catena di marchi di abbigliamento e scarpe che hanno denunciato la presenza di apparecchiature che violano la loro privacy. A latere di questa brutta vicenda ci sono storie complesse di dipendenti che finora non sono riusciti a far valere i loro diritti sindacali. La svolta possibile arriverà dalle verifiche dell'Ispettorato del lavoro che ha ricevuto l'esposto dettagliato su cosa succede nei punti vendita. All'ufficio sono state fornite immagini e file audio registrate mentre le commesse dialogavano con colleghi e in un caso è stato anche registrato e stigmatizzato il comportamento di una dipendente con un cliente, atteggiamento giudicato non consono dal direttore di filiale che, infatti, avrebbe usato le immagini in una chat interna al fine di redarguire la commessa. L'ipotesi che si fa largo è che le apparecchiature di controllo siano state installate per vedere se e quanto lavorassero i dipendenti, quindi orari, pause, rapporto con la clientela; ma la motivazione ufficiale della società è un'altra: una forma di tutela contro i furti di oggetti in vendita da parte di clienti.
E mentre emergono altri dettagli sui «controlli impropri» si fa largo anche una serie di inadempienze strettamente legate alla retribuzione. Un numero ancora da quantificare di dipendenti dei negozi della catena plurimarca lamentano di non essere state assunte il primo giorno di lavoro bensì qualche tempo dopo e che da subito hanno osservato orari più lunghi di quelli stabiliti dal contratto nazionale di categoria, straordinari che poi non sarebbero stati inseriti nelle buste paga mensili né ci sono stati saldi. Una situazione che una di loro definisce «ingestibile».
La storia
Commesse spiate, partono i controlli sulla privacy dopo la denuncia
Latina - A latere dell’esposto le violazioni contrattuali e orari di lavoro superiori a quelli previsti dal contratto di categoria