Oggi è il 29 maggio del 2019, riproponiamo un'intervista di qualche anno fa uscita sul nostro giornale chi quel giorno era in Belgio a Bruxelles nello stadio Heysel dove ci fu una strage in occasione della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Ecco la ricostruzione dell'avvocato Gaetano Marino che quel giorno era all''Heysel.  

Ci sono giorni strani e brutti che vorresti dimenticare. Ma non puoi. E' una questione di rispetto. Lo impone la memoria. Oggi è il 29 maggio, oggi è il giorno dell'Heysel, un nome che evoca una strage, ma di calcio. In 39 non sono più tornati a casa. La loro sfortuna? Quel maledetto settore Z, l'ultima lettera dell'alfabeto, lo spicchio più diabolico di un impianto fatiscente e contraddittorio. Dentro le reti da pollaio a dividere i tifosi italiani dai Red devils del Liverpool, fuori un bel parco, di un verde vivo e l'Atomium a fare da cartolina da tabaccaio. Adesso quello stadio non c'è più, è stato demolito e poi ricostruito, ha cambiato nome come per rifarsi una vita. Sì ricominciare e si chiama Re Baldovino, sua Maestà..
Era un bel pomeriggio quel giorno a Bruxelles. Il sole ancora alto che tramonta quando in Italia è quasi buio e poi la Juve che due anni dopo la beffa di Atene cerca la gloria più importante della sua storia e l'unico trofeo che le manca in bacheca: è quella che una volta si chiamava Coppa dei Campioni e adesso si chiama Champions League perché fa più chic.

Un massacro in diretta
«Bruno ci sei? Sei in linea», dice Gianfranco De Laurentis dallo studio della Rai di Roma al collega Bruno Pizzul. E' lui l'inviato, è lui il telecronista che deve raccontare la finale della Coppa dei Campioni tra la Juventus di Platini che gioca senza sponsor sulla maglia, come era all'epoca, e il Liverpool del portiere - marionetta Bruce Grobbelar, detentore del trofeo. Pizzul è solo, a quel tempo non ci sono seconde voci, dalla sua postazione non risponde subito, è indaffarato, sta succedendo qualcosa, poi interviene. «E' stato ripristinato il collegamento» , dicono a gesti dalla regia. L'audio è telefonico, non pulito, con un inquietante fruscio in sottofondo. «La situazione è degenerata sotto il profilo dell'ordine pubblico, il settore dei tifosi è debordato nel settore degli juventini – dice Pizzul con il suo tono inconfondibile ma questa volta stravolto dall'emozione di dover raccontare non una finale ma un massacro in diretta – nella calca della folla sono crollate le cancellate», prova ad ipotizzare. E' un'ipotesi perchè c'è confusione e non si capisce niente con le autorità del Belgio impreparate e che non sanno cosa fare. Le notizie che arrivano sono frammentarie, sul canale due della Rai con la scritta in sovra impressione in diretta da Bruxelles, si vedono un gruppo di poliziotti a cavallo sulla pista di atletica, sono disorientati: prima vanno avanti e poi fanno una semicurva.

Noi di Latina
Quel giorno c'erano molte persone di Latina a Bruxelles e un gruppo anche in curva Z, uno spicchio della curva dell'Heysel. Da una parte verso il centro gli inglesi, ubriachi, aggressivi e minacciosi, sono quelli che poi i media hanno chiamato hooligan, a lato, al confine con la tribuna coperta ci sono gli italiani ma non sono dei gruppi organizzati. Nella curva opposta invece ci sono gli altri juventini quelli della vecchia curva Filadelfia che hanno assistito anche loro in diretta ad una strage. Non dimentica quel giorno l'avvocato Gaetano Marino che all'epoca non aveva ancora 30 anni, prima di quel mercoledì aveva visto altre due finali della sua Juve: a Belgrado e poi quella di Atene, o meglio quella che tutti ricordano per il perfido tiro di Magath. Partì in aereo con una comitiva, tra cui l'avvocato Peppe Di Nardo, l'imprenditore Virginio Moro e altre persone di Latina.
In curva Zeta

«Trovammo il biglietto all'ultimo momento, quello del settore Zeta- racconta l'avvocato Marino che ad un tratto si commuove quando pensa alla coreografia di Torino con migliaia di cartoncini con i nomi dei morti per ricordare quel giorno – sì, ero lì. A sinistra avevamo gli inglesi che ad un certo punto iniziarono a lanciare sassi e pezzi di cemento verso di noi, nel nostro settore c'erano dei signori, tifosi normali, ci spostammo verso il muro e la rete ad un certo punto che divideva i due settori si abbassò. Fu un attacco premeditato, avevano coltelli, pietre e bastoni, indietreggiamo verso il muro e persi di vista Peppe Di Nardo che rividi dopo, nella calca aveva perso un mocassino». Sono passati più di 30 anni ma il film di quella terribile notte è vivo. «Ricordo un bambino che si aggrappò ai miei jeans perchè non trovava il papà e andai verso il muro, alzai i gomiti in alto per fare da scaletta a gente che si è lanciata e si è salvata per evitare la calca».

Esplosione di violenza

Lo scenario che si presenta sembra quello dello scoppio di una bomba. «C'era polvere, persone che si lamentavano, il bimbo ritrovò il papà ma i gradoni erano un tappeto di persone, c'era chi si lamentava e chi era morto». Le notizie che arrivano dall'Italia in quei minuti sono frammentarie, in tribuna l'avvocato Gianni Agnelli in compagnia del suo amico l'ex segretario di Stato americano Henry Kissinger va via, le agenzie battono le notizie con i morti e dal Belgio rimbalzano le polemiche sulla superficialità del servizio d'ordine. «E' finito tutto all'improvviso è questo quello che mi resta, sono riuscito ad andare a vedere la partita in tribuna, ma a casa non avevo detto che avevo il biglietto della curva Zeta. Poi dopo la partita arrivammo a piedi in hotel e all'ingresso dei locali di Bruxelles c'erano i vigilantes con i cani e ti chiedevano se eri italiano. Se la risposta era sì allora potevi entrare, se eri inglese invece no».
Cosa è stato l'Heysel
Anche Virginio Moro era nella curva Zeta e ricorda ogni istante di quel giorno. Un inferno in uno stadio. «Sono un tifoso del Milan ma in quel periodo seguivo le squadre italiane che andavano in Coppa Campioni- racconta – era un'occasione anche per visitare città che non avevi mai visto. Se siamo vivi è una fortuna e siamo dei miracolati. Io ho fatto un volo di sei metri da quel muretto che è crollato e mi sono caricato un ferito sulle spalle, Massimo Giannolla, anche lui di Latina che stava con noi. Mi sono accorto subito che la situazione stava degenerando quando eravamo vicino alla curva degli inglesi, sono volati dei razzi che solo per caso non ci hanno preso, ci siamo spostati e sono arrivati i sassi ma anche pezzi di cemento. La gente ha iniziato a correre e si è creato il caos. Le sensazioni? Mi è morto un bambino accanto e tante persone sono svenute. Quando vedevi uno che si rialzava significava che era vivo». Questo è stato il 29 maggio del 1985 all'Heysel, uno stadio morto anche lui insieme a 39 persone innocenti.